Dazi, Meloni punta a vertice con Trump a Roma prima di giugno. Prudenza Ue
Washington, 19 apr. (askanews) – Prudenza e basso profilo. E’ la linea che tiene l’Unione europea dopo l’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla Casa Bianca. La Commissione ha fatto sapere che la premier e Ursula von der Leyen hanno avuto venerdì una “buona telefonata”, in cui la presidente della Commissione è stata ragguagliata sul colloquio. Fonti dell’esecutivo comunitario hanno fatto sapere che il faccia a faccia alla Casa Bianca è stato giudicato “positivamente”, in linea con quanto concordato alla vigilia dalle due leader.
Di più, al momento, non trapela. Anche perché, al di là della comunicazione e dello ‘show’ del tycoon alla Casa Bianca, i risultati concreti sono tutti da verificare mentre restano alcune note non positive per Bruxelles. Partiamo dai risultati, che sono sostanzialmente politici. Trump ha accettato l’invito di Meloni a tenere una visita a Roma “nel prossimo futuro” ma quanto alla possibilità che in quell’occasione ci sia un confronto anche con i vertici europei c’è solo l’impegno a una “valutazione”. L’obiettivo di Meloni, come ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari a ‘La Stampa’ e a ‘La Repubblica’, è di organizzare il vertice anche a maggio, comunque prima del summit Nato in programma a L’Aja dal 24 al 26 giugno. Ma il formato è tutto da definire e da parte della Commissione – ma anche di alcuni Stati membri – ci sarebbero dubbi sull’opportunità di tenerlo a Roma invece che nella sede ritenuta più appropriata, ovvero Bruxelles.
Nelle dichiarazioni alla stampa a Washington, Trump si è detto certo che “ci sarà al 100% un accordo sui dazi con l’Unione Europea” ma allo stesso tempo non ha rinnegato la sua strategia: “No – ha risposto a un giornalista che gli chiedeva se Meloni gli abbia fatto cambiare idea – i dazi ci stanno arricchendo, stavamo perdendo tanti soldi con Biden, miliardi di dollari sul commercio, adesso la marea è cambiata”.
Questo restando alle parole. Ma se si va a leggere la dichiarazione congiunta rilasciata al termine dell’incontro (che ha un maggiore valore) si evidenziano delle criticità non da poco per l’Ue. Dunque Meloni e Trump si impegnano a “collaborare per garantire che il commercio tra Stati Uniti ed Europa sia reciprocamente vantaggioso ed equo”. Ma gli Usa – e l’Italia conviene – pongono subito un tema rilevante e che sta molto a cuore all’amministrazione, ovvero l’attività e la tassazione dei colossi tecnologici, su cui Bruxelles tiene acceso un faro. “Sottolineiamo – si legge nel comunicato – l’importanza delle tecnologie dell’informazione per favorire la libera impresa oltre Atlantico. Abbiamo concordato sulla necessità di un ambiente non discriminatorio in termini di tassazione dei servizi digitali per favorire gli investimenti da parte di aziende tecnologiche all’avanguardia”. Il problema è che non è affatto chiaro che cosa significhi “ambiente non discriminatorio in termini di tassazione” per uno come Trump che considera discriminatoria l’Iva, come se fosse un dazio supplementare che devono pagare le esportazioni americane in Europa. E che considera altrettanto discriminatorie, nei confronti delle Big Tech americane, le regole Ue sui mercati e servizi digitali.
Sull’Ucraina nello “spray” allo Studio Ovale c’è stato un momento di imbarazzo di Meloni, che ha interrotto l’interprete che non stava traducendo alla perfezione quanto aveva detto in italiano, ripetendolo quindi lei stessa in inglese. Nella dichiarazione se entrambi i Paesi “sottolineano che la guerra in Ucraina deve finire” – cosa su cui è difficile essere in disaccordo – allo stesso tempo “appoggiano pienamente la leadership del presidente Trump nell’intermediazione di un cessate il fuoco e nella realizzazione di una pace giusta e duratura”. Una posizione, questa seconda, che sicuramente non vede allineati molti partner europei, visto l’evidente diverso “trattamento” che Trump ha riservato a Volodymyr Zelensky (“Non sono un suo fan”, ha ribadito davanti alla presidente del Consiglio) e a Vladimir Putin (“Mi ha detto che con me presidente la guerra non sarebbe mai iniziata”).
Il tema molto spinoso dei rapporti con la Cina (con Meloni che si era assai irritata per la visita a Pechino di Pedro Sanchez) non viene esplicitamente toccato ma “gli “Stati Uniti e l’Italia riconoscono la necessità di proteggere le nostre infrastrutture e tecnologie nazionali critiche e sensibili, ed è per questo che ci impegniamo a utilizzare solo fornitori affidabili in queste reti”.
Questi i fatti, per vedere se la “special relationship” rivendicata da Meloni avrà un effetto positivo nei rapporti tra Washington e Bruxelles bisognerà attendere. Ci sono 90 giorni di tempo, salvo ulteriori giravolte di Trump, per aprire un vero negoziato.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli