Parmigiano Reggiano: giro d’affari 2024 record a 3,2 mld, Usa primi su estero
Milano, 17 apr. (askanews) – Mentre l’incertezza geopolitica pende come una spada di Damocle sull’agroalimentare italiano, il consorzio del Parmigiano Reggiano si presenta al mercato con risultati 2024 tutti in crescita. Una tappa nel percorso di sviluppo a lungo termine della Dop che vuole diventare, nelle parole del presidente, una “marca iconica a livello globale”, con un export che nell’arco di un decennio possa arrivare a pesare almeno il 70%.
“Il 2024 è stato un anno straordinario, l’anno dove abbiamo raggiunto tutti i record, valore del prodotto al consumo oltre 3,2 miliardi di euro – ci ha spiegato Nicola Bertinelli, presidente Consorzio Parmigiano Reggiano – Stiamo parlando in volume più 9,2% rispetto all’anno precedente, con un estero che fa quasi un più 14% e un’Italia un +5,7%. Sono dati veramente straordinari anche sintomo di come il Parmigiano Reggiano oggi viene percepito, non semplicemente un pezzo di formaggio”.
La quota italiana della Dop del Parmigiano Reggiano, che a valore è cresciuta del 4,9% lo scorso anno, si attesta al 51,3% (osservatorio Sell-In Nielsen) con la gdo primo (65%) canale, seguita dall’industria (18%), e, fanalino di coda, il canale Horeca con un 7% del totale. Ma il 2024 è stato un anno centrale anche per il consolidamento sui mercati esteri: la quota di export oggi sfiora il 50% (48,7%), con una crescita a doppia cifra per gli Stati Uniti (+13,4%), primi sul podio seguiti da Francia (+9,1%) e Germania (+13,3%). Ma la crescita è stata sostenuta anche in Regno Unito (+17,8%) e Canada (+24,5%), con note positive che arrivano dal Giappone (+6,1%), primo mercato in Asia, e dall’Australia (+28,2%). Tuttavia è proprio sugli Stati Uniti che i riflettori sono puntati in questo momento, per capire e contenere gli effetti dei dazi.
“Attualmente il Parmigiano Reggiano sta pagando un dazio del 15% che dal 1964 è in vigore. E rappresenta solo il 7% della domanda dei formaggi a pasta dura negli Stati Uniti, quelli che laggiù si chiamano parmesan, ma viene venduto a circa il doppio del prezzo di un parmesan – ha fatto notare Bertinelli – Chi compra Parmigiano Reggiano negli Stati Uniti lo compra scientemente. Se il prezzo dovesse passare in seguito all’aumento dei dazi da 21 dollari la libra a 23 dollari sicuramente calerà la domanda ma non prevediamo un crollo”.
Il Consorzio però ritiene necessario un atteggiamento pro-attivo, in un momento come questo: “Noi intanto possiamo cercare di far riconoscere quelle produzioni che sono, ad esempio, in Vermont, in Massachusetts, in Wisconsin, fatte con latte crudo, farle riconoscere e tutelare nell’Unione Europea – ha proposto Bertinelli – Dall’altra parte noi negli Stati Uniti aumenteremo gli investimenti, li raddoppieremo per far conoscere sempre di più al cittadino americano perché il Parmigiano Reggiano è molto di più di un pezzo di formaggio”.
C’è però anche un’altra leva su cui il Consorzio intende agire nel prossimo futuro: la geografia dei Paesi consumatori di Parmigiano Reggiano è a oggi piuttosto diversificata, ma l’obiettivo è continuare ad accrescere questo aspetto portando le esportazioni a superare i consumi interni, con una quota che tra un decennio Bertinelli vorrebbe portare tra il 70 e l’80%. “Noi abbiamo cinque mercati storici che assorbono oltre l’85% dell’estero del Parmigiano Reggiano. Parliamo di Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Canada – ha detto – ma il Nord Europa, Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia sono una grandissima traiettoria di futuro”.
Questa traiettoria si basa anche su un piano di regolazione dell’offerta che consenta “la valorizzazione sui mercati internazionali”, ha sottolineato Bertinelli. Per questo dalle attuali 4 milioni e 79mila forme (stabili rispetto al 2023) il consorzio ha programmato di non superare i 4 milioni e 700mila al 31 dicembre 2031, con una crescita media annua sotto al 2%. Questo spiegherebbe anche i dati del primo trimestre 2025 cresciuto di un 2,3% grazie all’estero (+5,7%), con un mercato interno in calo del 9,5%, giudicato dal consorzio un “assestameto fisiologico con una carenza di prodotto” che ha contribuito al contenimento delle vendite: “Il 2025 è iniziato bene, con mercati che ci stanno sorprendendo, pensiamo al Canada, che nei primi tre mesi sta importando un +87%, e in questo io credo che ci sia anche un po’ di ripercussione verso il parmesan americano”.