Interdittiva antimafia illegittima: più che raddoppiato il risarcimento all’avvocato Giunti
Al professionista andranno oltre 13 mila euro, contro i 6 mila stabiliti in primo grado
È stato più che raddoppiato il risarcimento all’avvocato Andrea Gino Giunti, che era stato raggiunto da un’interdittiva antimafia, poi dichiarata illegittima. Al penalista aostano andranno oltre 13 mila euro. Lo ha deciso il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso del professionista.
Più che raddoppiato il risarcimento all’avvocato Giunti
A gennaio 2024 il Tar aveva riconosciuto a Giunti un risarcimento di 6 mila euro. L’avvocato ha presentato ricorso «ritenendo la liquidazione del danno sostanzialmente sottostimata rispetto a quella richiesta e dovuta».
Giunti era stato coinvolto, nel 2021, nell’inchiesta Alibante della Dda di Catanzaro. Nello stesso procedimento era stata coinvolta anche la moglie, l’avvocata Maria Rita Bagalà.
L’interdittiva era stata emessa dall’allora questore Ivo Morelli in seguito alla richiesta di comunicazione antimafia della Regione Valle d’Aosta per un contributo relativo all’emergenza da Covid-19.
Le motivazioni
«Ritiene il Collegio – si legge nel provvedimento – che nel caso di specie l’appellante abbia fornito la prova del nesso causale tra il danno evento, costituito dalla diffusione mediatica della notizia relativa all’emissione dell’interdittiva, ed il danno conseguenza, consistito nelle diminuite possibilità di guadagno che ne sono derivate».«In particolare, l’emissione dell’interdittiva è seguita, a distanza di qualche mese, alla vicenda penale nella quale l’odierno appellante era stato coinvolto insieme con la moglie».
Le motivaizoni
Di più. «Considerata la stretta connessione temporale e fattuale tra la vicenda penale e quella amministrativa, è opinione del Collegio che il danno lamentato dall’odierno appellante sia riconducibile ad una pluralità di cause concomitanti e temporalmente ravvicinate, il cui intreccio fattuale e temporale impedisce di connotare il nesso causale in termini di univocità finalistica rispetto alla sola vicenda penale, ma non a quella amministrativa, come sostenuto dal Tar nella decisione impugnata – scrivono i giudici -. La vicenda appare infatti nel complesso unitaria, ed il danno che ne è conseguito, in termini di discredito professionale derivante dalla diffusione mediatica dei fatti, non risulta concettualmente scindibile e riconducibile solo all’antefatto penalistico, degradando l’emissione dell’interdittiva alla stregua di un post-factum privo di efficienza causale rispetto al danno subito».
Secondo il massimo organismo della giustizia amministrativa, «in assenza di prove o evidenze in senso contrario, pertanto, risulta illogica la decisione del giudice di prime cure di riconoscere la sussistenza del nesso causale solo con riferimento ad una delle concause dell’evento, ma non all’altra, non risultando chiaro per quale motivo la prova del danno conseguenza sussista in relazione alla vicenda penale, ma non a quella amministrativa, rispetto alla quale l’appellante ha parimenti allegato documentazione atta a comprovare la diffusione mediatica della notizia».