Ue, Commissione pronta a semplificazione per imprese ma burocratica su tutela consumatori
Roma, 14 mar. (askanews) – Questa Commissione europea appare molto determinata a facilitare la vita e la competitività delle imprese con una serie di misure di semplificazione burocratica e normativa della legislazione esistente, che a volte diventa vera e propria deregolamentazione, ma non sembra avere altrettanto a cuore gli interessi dei consumatori e la loro libertà di scelta informata, basata sulla trasparenza. E’ quanto sembra indicare una recente decisione di Bruxelles contro una norma italiana chiaramente intesa a tutelare, appunto, i consumatori e la trasparenza delle pratiche commerciali, che dimostra una sorprendente rigidità burocratica.
Il 12 marzo scorso, la Commissione ha inviato una notifica di messa in mora all’Italia, prima tappa della procedura di infrazione comunitaria, accusandola di aver violato le regole del mercato unico per avere “introdotto l’obbligo di apporre sui prodotti di consumo un’indicazione specifica che informi che la quantità del prodotto è stata ridotta mentre la confezione è rimasta invariata, il che ha portato a un aumento del prezzo unitario”, come spiega una nota dell’Esecutivo comunitario.
L’infrazione riguarda in particolare gli articoli da 34 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, che vietano le restrizioni alle importazioni ed esportazioni tra gli Stati membri e le misure equivalenti. “Sebbene la Commissione riconosca l’importanza di informare i consumatori di questo tipo di modifiche, richiedere che tali informazioni siano visualizzate direttamente su ciascun prodotto interessato non sembra proporzionato. I requisiti nazionali di etichettatura costituiscono un importante ostacolo al mercato interno e compromettono seriamente la libera circolazione delle merci”, spiega ancora la Commissione, ritenendo che “le autorità italiane non abbiano fornito prove sufficienti in merito alla proporzionalità della misura, in quanto sono disponibili altre opzioni meno restrittive (ad esempio, l’esposizione delle stesse informazioni vicino ai prodotti interessati)” negli scaffali dei negozi e supermercati, come avviene in Francia.
Secondo l’Esecutivo comunitario, inoltre, l’Italia avrebbe violato anche la direttiva Ue 2015/1535 sulla trasparenza del mercato unico, “poiché la misura è stata adottata durante il periodo di attesa successivo alla notifica da parte dell’Italia del disegno di legge e senza considerare il parere dettagliato emesso dalla Commissione”. Questo periodo di attesa (“standstill period”) è previsto dalla procedura di notifica “Tris”, che mira a prevenire l’avvio delle procedure d’infrazione, attraverso un dialogo preliminare tra la Commissione e lo Stato membro interessato.
La misura italiana in questione fa parte del “Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023”, articolo 21, intitolato “Misure di contrasto alle prassi commerciali di riporzionamento dei prodotti preconfezionati”. L’articolo stabilisce: “I produttori che mettono in vendita, anche per il tramite dei distributori operanti in Italia, un prodotto di consumo che, pur mantenendo inalterato il precedente confezionamento, ha subito una riduzione della quantità nominale e un correlato aumento del prezzo per unità di misura, informano il consumatore dell’avvenuta riduzione della quantità e dell’aumento del prezzo in termini percentuali, tramite l’apposizione nella confezione di vendita di una specifica etichetta con apposita evidenziazione grafica”. Inoltre, si precisa che l’obbligo di informazione “si applica per un periodo di sei mesi a decorrere dalla data in cui il prodotto è esposto nella sua quantità ridotta”.
Come spiega il Ministero delle Imprese e del Made in Italy nella sua notifica alla Commissione del 7 ottobre 2024, la misura italiana è stata adottata “al fine di regolamentare il fenomeno della cosiddetta ‘Shrinkflation’, ovvero la pratica dei produttori di ridurre la quantità di prodotto all’interno della confezione, mantenendo sostanzialmente invariato il prezzo o addirittura aumentandolo, con la conseguenza di disorientare i consumatori che si trovano di fronte a un aumento di prezzo in modo non trasparente”. Sono motivazioni che appaiono tutt’altro che peregrine e infondate, ma a Bruxelles non sono bastate.
L’Italia ha ora due mesi per rispondere alla Commissione, che in caso di risposta insoddisfacente potrebbe inviare un “parere motivato”, secondo passo nella procedura di infrazione, che prelude al ricorso in Corte europea di giustizia, se anche in questo caso l’Esecutivo comunitario giudicasse inadeguate le contro argomentazioni del governo.
Sarebbe un pessimo segnale agli operatori commerciali, che verrebbero premiati per un comportamento volutamente ingannevole, e ai consumatori, a cui verrebbe impedito di vedere i loro diritti tutelati da una legge nazionale. Bisogna precisare che la Commissione ha piena discrezionalità nelle sue decisioni sul controllo dell’attuazione della legislazione comunitaria. In altre parole, non era affatto obbligata ad aprire questa procedura d’infrazione, e potrebbe benissimo scegliere di non portarla avanti, se considerasse con più flessibilità che la misura italiana non mira affatto a restringere od ostacolare le importazioni di prodotti provenienti da altri Stati membri, ma solo a evitare un aumento dei prezzi occulti.
Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese