Artigianato, Giangiuseppe Barmasse: «nelle mie sculture, memoria e radici»
Conosciamo gli artigiani che hanno meritato il Premio Acquisto, l'iniziativa dell'Assessorato allo Sviluppo Economico per acquisire opere di artigianato di tradizione per arricchire il patrimonio regionale
Artigianato, Giangiuseppe Barmasse: «nelle mie sculture, memoria e radici».
Riproponiamo l’intervista a Giangiuseppe Barmasse, pubblicata su Gazzetta Matin, per celebrare i vincitori dei Premi Acquisto.Dopo Enrico Massetto, Fabio Cornaz, Luciano Regazzoni, ecco lo scultore vótornèn.
Tra i protagonisti della scena artistica valdostana, lo scultore vótornèn Giangiuseppe Barmasse si è aggiudicato, per il busto ligneo di Émile Chanoux, il suo terzo Premio-acquisto dopo i tuttotondi raffiguranti nel 2022 San Teodulo e le serpi e nel 2023 San Francesco con il lupo di Gubbio, poi donato, il 3 ottobre, dalla Regione Valle d’Aosta al Padre custode della Porziuncola di Assisi, in occasione della celebrazione del Santo Patrono d’Italia.
Il busto di Chanoux in noce nostrano
Giangiuseppe, tra i temi proposti nel 2024 ha scelto quello su Êmile Chanoux…
«… perché Chanoux è stata una persona che ha lasciato un segno importantissimo nella storia della Valle d’Aosta e ho voluto raffigurarlo con un busto in noce nostrano perché mi piace questo modello di scultura».
Lei è scultore autodidatta e figlio d’arte…
«Sì. Ho iniziato da bambino grazie a mio padre Camillo, scultore per passione, che mi ha insegnato l’affilatura degli scalpelli e l’impostazione del taglio del legno e con il quale ho condiviso varie volte il banco alla Fiera di Sant’Orso.
Insegnamenti che ho trasmesso a mio figlio Florian che scolpisce per hobby ed espone anche lui alla Foire, eccetto la prossima».
La prima Sant’Orso nel 1978
La sua prima fiera?
«Nel 1978 grazie alla mia professoressa di educazione artistica Daniela Piassot che mi iscrisse.
Pian piano poi ho cercato il mio percorso lungo il quale ho voluto migliorare il figurativo e la tecnica».
Nato ad Aosta, lo scultore vive e ha il suo laboratorio in frazione Fontanaz, 8.
Inizia a scolpire dodicenne nel 1974 e due anni dopo vince un concorso scolastico.
Espositore alla Fiera di Sant’Orso di Aosta e in passato anche a quella di Donnas, dal 1989 si dedica a tempo pieno alla scultura tradizionale.
Molte le mostre, i concorsi e i simposi, non solo in Italia, ai quali ha partecipato ed è apparso su diverse pubblicazioni d’arte e d’artigianato alpino.
Opere tra memoria e radici
Come descriverebbe la sua scultura?
«In ogni mio opera c’è sempre la memoria di qualcosa di intimo legato alle mie radici e in questi ultimi anni ho scolpito anche soggetti più stilizzati e/o astratti.
Nelle realtà rurali che rappresento l’uomo è sempre protagonista e cerco anche di raffigurarne gli stati d’animo contestuali all’opera.
Sono personaggi legati alla montagna, guide alpine, pastori, contrabbandieri o ai miei ricordi di bambino perché incontrati o che mi sono stati raccontati.
Tra le essenze lignee prediligo il noce, anche di scarto, l’acero e il cirmolo, ma mi piace cimentarmi con pietra, metalli e fusioni: in bronzo e, occasionalmente, in zama e oro».
Noto infatti è il suo “Bestiario” sulla fauna alpina… «
Una collezione di 21 pezzi fusi in bronzo che richiamano i trofei di caccia con tiratira limitata a cinquanta esemplari ciascuno.
Raffigurano animali in miniatura con dimensioni che vanno dai 45x28x33 mm della donnola agli 84x51x42 mm del cervo.
Ho usato bronzo e zama anche per spille commemorative e altri lavori».
Che emozioni le dona il suo mestiere?
«Molte, a partire da quelle iniziali legate alla scelta del soggetto e i relativi schizzi preparatori alla ricerca del blocco ligneo che, per certe sculture, dopo il primo abbozzo, lascio stagionare e asciugare per uno o più anni e fino al timore di non riuscire.
Ogni lavoro ha la sua difficoltà anche se è questa che permette di continuare e che cerco, perché rappresenta una sfida con se stessi».
Dalla prima grande désarpa in poi
Le sue opere hanno varie dimensioni: dalle più piccole a quelle con rapporto 1:1. Ricorda la sua prima grande opera?
«“La désarpa”, nei primi anni ’90.
Da lì ho continuato con le grandi opere tra cui “La Fiera del bestiame” del 2017 con cui ho voluto ricordare un mercato che non c’è più. Opere che soddisfano, ma molto impegnative».
Altre in particolare?
«Le sculture dedicate a Jean-Antoine Carrel e all’Abbé Gorret, quella con gli alpinisti del Cervino nel 2002 per l’anno internazionale della Montagna e l’opera “Emozioni in vetta” con la principessa Maria José di Savoia e le Guide Alpine Giulio Bich e Luigi Carrel sul Cervino nell’estate 1941, perché realizzata da una pianta antica sradicata a Chambave per l’alluvione del 2000.
A Chambave, tra l’altro, nella sala consiliare del Comune c’è un grande altorilievo che ricordo con piacere: rappresenta il ciclo vitivinicolo in tutte le sue fasi».
Omaggio a sua maestà il Cervino
Lo scultore, inoltre, ha dedicato al Cervino nel 2015, in occasione dei 150 anni dalla sua conquista, un insieme di opere: dalla riproduzione del Cervino in pietra verde dorata alla rappresentazione delle fasi più salienti della storica impresa e fino ai busti dei personaggi che l’hanno vissuta.
Come impiega il suo tempo quando non si rinchiude in laboratorio?
«Mi piace camminare in montagna, fare lunghe passeggiate.
Una solitudine rilassante che apre la mente e può rivelarsi d’ispirazione per la mia professione».
La vedremo alla prossima Millenaria, il 30 e 31 gennaio al suo banco ai piedi di Porta Praetoria, con quali opere ?
«Tutte inedite di medie dimensioni, legate al mondo rurale e altre particolari… che scoprirete».
(nadia camposaragna)