Carla Angster, la Mary Poppins dei costumi walser di Gressoney
La custode del leggendario abito scarlatto racconta i segreti del disciplinare tradizionale
Carla Angster, la Mary Poppins dei costumi walser di Gressoney
La custode del leggendario abito scarlatto racconta i segreti del disciplinare tradizionale
È come la borsa di Mary Poppins. Solo che qui devi prendere bene le misure perché una volta tagliata la stoffa non puoi più tornare indietro. Ma nella cassetta degli attrezzi di Carla Angster ci sta tutto. Magicamente, come nella borsa di Mary Poppins, tutti i rocchetti e anche il puntaspilli. E lei, con un colpo d’occhio e un magistrale tocco delle dita, mette ogni filo, ogni tassello al posto giusto seguendo il disegno immaginario che ha in mente.
Un disegno che ha secoli di storia
…e che ora, anche grazie ai suoi cartamodelli, ha un disciplinare prezioso, dettagliato e codificato. Carla Angster è la maga dei costumi walser di Gressoney. Una naturale passione per il cucito coltivata fin da piccola, quando faceva su misura i vestitini per le bambole.
L’apprendistato a Genova
La passione è diventata professione grazie a una signora di Genova, turista a Gressoney, che all’inizio degli anni Sessanta ha notato le doti della piccola stilista e l’ha invitata nella sua sartoria. Carla rimane a Genova dai 16 ai 18 anni di età; impara, a scuola, il disegno dei cartamodelli e non ha difficoltà a realizzare tutti i tipi di abiti, dai vestiti da sposa ai tailleur.
Sarta e maestra di sci
Un nonno di Strasburgo (lo rivela il cognome), gli altri tre nonni di Gressoney, una volta rientrata da Genova affianca l’attività di sarta con quella di maestra di sci. Ci sono solo due donne, all’epoca, a fare i costumi locali.
Lei entra nel gruppo folkloristico, ma non chiede nulla alle altre sarte. «Ho studiato il modello e ho iniziato facendo il mio costume», racconta Carla Angster. «Poi ho realizzato i costumi delle altre». Ora, da 15 anni, è l’unica a realizzare i costumi di Gressoney e ha contribuito a stilare il disciplinare con la spiegazione di come sono fatti e di come vanno realizzati.
Le caratteristiche uniche del costume
Il tessuto è un panno di lana raffinato sottile, anticamente era di lana pregiata, bellissimo! I panni arrivavano dalla Svizzera, portati dagli uomini che attraversavano il Monte Rosa e andavano nei negozi svizzeri. Ora le pezze devono essere fatte apposta e se ne occupa il gruppo folkloristico. I costumi femminili sono più iconici di quelli maschili. Disegnati con particolari pieghe che finiscono tonde sul dietro, intero, mentre il corpino davanti è tagliato. Lo scamiciato è rosso, tendente al viola per le donne più anziane e per le occasioni luttuose. Le ampie pieghe dietro si chiamano ghére, in italiano canne d’organo. Davanti il corpino è tagliato in vita, con scollatura a V e due profonde tasche sulla gonna. Il grembiule è nero, orlato di pizzi, la camicetta è bianca, di cotone, lino o canapa, sempre ornata di pizzi, mentre la pettorina è ricamata con fili dorati o argento de férblätz. Il giacchino, il figaro, è nero in panno o in velluto, e – come il costume – è ornato con galloni d’oro o d’argento.
Se per lo scamiciato del costume «è molto importante che il taglio sia quello originale», tiene a precisare Carla Angster, «la camicetta può variare, così come il disegno della pettorina, a seconda dei gusti». Le cuffie infine sono molto ricche.
Il prezioso copricapo
L’elemento più appariscente, prezioso e caratteristico è il copricapo, d’goldenò chappò, una cuffia, con raggiera, realizzata in filigrana d’oro, con ricami e nastri.
Le regole per indossarlo
«Una cosa a cui teniamo molto è come viene indossato», chiosa la signora Carla. Il modello originale dei suoi costumi, trasmesso nei secoli, è esposto al centro culturale walser. Spesso i costumi vengono indossati anche all’estero per rappresentare la valle, e anche in quel caso vanno rispettate le regole del disciplinare.
Un ultimo auspicio
«Mi farebbe piacere che qualche ragazza del gruppo folkloristico, che danza e sfila col costume, raccogliesse il mio testimone e proseguisse nel mio lavoro», è l’auspicio finale di Carla.
(elena rembado)