Uccise PERCHÉ donne, giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Tra i tanti eventi in programma, nella sede Cgil di Aosta si è tenuto un incontro di riflessione e dialogo per sensibilizzare contro la violenza su donne Cis, Trans e LGBTQIA+
Femminicidio è una parola che è apparsa per la prima volta sulla stampa italinana nel 2001. Da allora più di 3000 donne sono state uccise, 99 soltanto nel 2024.
Una parola sul quale si è riflettuto molto durante l’incontro “Crescendo di voci: dialogo intorno alla violenza sulle donne Cis, Trans e LGBTQIA+” che si è tenuto nella sede della Cgil di via Binel ad Aosta oggi, in occasione della giornata internazionale contro la volenza sulle donne.
«La parola in voga negli ultimi 20 anni, però, – ha fatto notare una partecipante dal pubblico, in un dialogo tra speakers e platea che è durato per tutto l’incontro – non indica tanto la vittima, ma il movente. La vittima viene uccisa PERCHÉ donna».
E perché le donne, che siano cis, trans o appartenenti al larghissimo orizzonte della comunità LGBTQIA+ vengono uccise?
La risposta sembra arrivare spontanea: perché al contrario di quanto affermi il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, «il patriarcato esiste – ha affermato Alessio Ansermin, avvocato e consigliere di Arcigay Valle d’Aosta – e non è finito con la riforma del diritto di famiglia, il patriarcato ha radici che si muovono nella nostra società».
Colpa della scuola, colpa di una mancata educazione affettiva, colpa di un ordinamento giuridico che secondo la moderatrice Simona D’Agostino, segretaria confederale della CGIL Valle d’Aosta, non si aggiorna alla velocità della realtà. «Parliamo di diritti dimezzati per le donne – evidenzia D’Agostino – perché non si è mai avuto il coraggio istituzionale di andare al di là degli interventi legislativi degli anni ’70 e ’80». Ovvero quando le donne (ma anche gli uomini) acquisivano il diritto al divorzio (’70), all’aborto (’78), veniva abolito il delitto d’onore (81′), solo per citarne alcuni.
Per non parlare delle violenze contro la comunità LGBTQIA+ che con l’affossamento del Ddl Zan, rimarca l’avvocato Ansermin, hanno definitivamente rinunciato a vedere riconosciuta l’aggravante omotransfobica.
La stampa e il patriarcato
E una buona parte della narrazione patriarcale, soprattutto sui femminicidi, arriva proprio dalla stampa. «Soltanto il 21% delle testate a stampa è scritto da donne – ha sottolineato Francesca Ceccarelli, editrice della testata giornalistica indipendente Frisson -. Dentro la classe giornalistica si consumano le prime disparità e si perpetra il patriarcato. A scriver gli articoli sui femminicidi, per la maggiorparte, sono uomini che ne fanno una narrazione, spesso, assolvente dell’uomo, insistendo su particolari intimi della donna, delle sue ipotetiche relazioni all’esterno della coppia ecc».
Così come le donne transgender subiscono il pregiudizio di essere solo e soltanto delle sex workers, private della loro dignità e oggetto immediato in un pregiudizio che non sempre corrisponde a realtà.
«Le parole sono delle armi – ha rimarcato Marta Nicoletti, vice direttrice di Collettiva.it – dovremmo imparare ad usarle bene e a raccontare le persone e le cose, dando loro i nomi giusti!»
Come a dire che il rispetto per le donne cis, trans, LGBTQIA+ passa, anche, dal linguaggio. «Eppure i segnali dalle donne di governo – segnalano dal pubblico – vanno in direzione opposta. Basti pensare al nostro premier che decide, da donna, di essere chiamata il presidente Meloni».
(ar.pa)