Artigiani in Valle d’Aosta, Paolo e Fabio Henriod: «bottai da generazioni, a mangiar polvere»
Gli artigiani di Nus sono stati premiati a La Saint-Ours 2024 per aver realizzato strumenti agricoli utilizzati ancora oggi, nel rispetto della tradizione
Artigiani in Valle d’Aosta, Paolo e Fabio Henriod: «bottai da generazioni, a mangiar polvere».
Gazzetta Matin ha iniziato un viaggio per conoscere da vicino gli artigiani premiati in occasione della 1024ª Fiera di Sant’Orso.
Nadia Camposaragna cura il tour nei laboratori degli artigiani che si sono distinti in questa edizione della Millenaria.
Dopo aver conosciuto Marcel Diemoz, Prix Don Garino; Aldo Bollon, Prix Jans con il corso di vannerie di Saint-Marcel; Michael Munari, Prix Enfanthéâtre; Luigi Marquis, Prix Berton; Ornella Crétaz, doppio premio a La Saint-Ours 2024: Prix Savt-Foire de Saint-Ours assegnato dal Savt all’opera o allo stand più originale o innovativo nel settore dell’artigianato tradizionale e che illustri meglio il mondo del lavoro e Prix Fidapa assegnato dalla Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari all’espositrice che ha realizzato l’opera più creativa e artistica; Angelo Giuseppe Bettoni, ‘Pino’ per tutti, Prix Noces d’or avec la Foire; Sebastiano Yon al quale è stato assegnato il Prix più ambito, il Prix La Saint-Ours 2024; conosciamo Paolo e Fabio Henriod, padre e figlio, bottai di Nus, premiati a La Saint-Ours 2023 per aver realizzato strumenti agricoli utilizzati ancora oggi, nel rispetto della tradizione.
Nus A ricevere il premio per gli attrezzi agricoli ancora in uso, realizzati nel rispetto della tradizione valdostana, sono stati Paolo e Fabio Henriod, padre e figlio, eredi di un mestiere tramandato di generazione in generazione, tra gli ultimi bottai valdostani.
L’incontro è a Petit Fénis, frazione sopra a Nus, dove vivono e hanno il laboratorio e l’atelier in cui passato e presente si fondono alla perfezione.
Dal bisnonno Francesco a nonno Pierino
«Già mio bisnonno Francesco, tornato dalla prima guerra mondiale, intraprese il mestiere di bottaio che passò a mio nonno Pierino, il solo tra nove figli a raccogliere il testimone – dice Fabio accanto a papà Paolo che aggiunge -.
Francesco, mio nonno, da alpino perse la mano sinistra per una granata sul Pasubio, ma nonostante questo si ingegnò costruendosi protesi ad hoc per ogni fase di lavorazione che il nostro mestiere richiede e in cui la precisione millimetrica è fondamentale».
Botti ma anche tini, mastelli, zangoli, secchi e acetaie
Alla produzione di botti, si affianca quella di ciò che attiene questa realtà agricola: acetaie, tini, mastelli per la carne, zangole, secchi per acqua e per catrame liquido, fino alle vasche idromassaggio, per una clientela principalmente valdostana, piemontese e francese…
«…ma su richiesta ovunque. Tra i nostri clienti abituali alla Fiera di Sant’Orso, ci sono dei tedeschi che comprano sempre piccole botti».
Come va il mercato in questo settore?
«In passato quasi tutte le famiglie valdostane avevano una cantina e il mercato è stato fiorente fino a metà anni ’90.
Si risollevò, dopo il calo per il progressivo abbandono dei vigneti, a inizio millennio con la ripresa del settore vitivinicolo».
Rovere ma anche castagno, acacia, gelso, ciliegio e frassino
Che legni usate per le botti?
«Principalmente il rovere, ma anche castagno per i vini rossi, acacia, gelso, ciliegio per i bianchi e pero, melo, frassino per grappe e distillati. Ogni essenza lignea dona diverso colore e aroma, ad esempio il larice dà un gusto più di resina, il ginepro di bacca».
Una antica lavorazione manuale
La vostra produzione custodisce anche una particolare lavorazione…
«È ancora quella antica, fatta a mano (sgrossatura interna, cerchi in ferro battuti a freddo e piegati).
Le doghe le seghiamo già curve con spessori diversi per ogni botte oltre i 25 litri di capienza (quelle con capienza minore possono essere tornite a macchina). Ognuna ha il suo numero di doghe, inclinazione e lunghezza.
Ad esempio una nostra botte da 3 litri ha lo stesso spessore di una da 250 litri piegata, cioè 3 cm».
Un aneddoto tra altri?
«In una fiera francese, tra quelle a cui partecipiamo anche fuori Valle d’Aosta, ci avevano commissionato botti da 20 litri con spessore maggiorato per sopportare una pressione di ben 30 bar per un particolare vino bianco.
Ma non è bastato. Le botti sono esplose così da farci inspessire ancor più doghe e fondi».
L’azienda Le Tire-bouchon
Accanto al mestiere, da sempre la passione per la viticoltura ha portato tutta la famiglia a fondare due anni fa l’azienda Le Tire-bouchon con annessa una casa vacanza.
«Tutti i vigneti, per vini rossi e bianchi, sono di mia mamma Clara Alliod – dice Fabio, che con la compagna di vita Alessia è genitore di Agata e presto di un’altra bimba -.
Una passione di famiglia che mi ha portato a ricoprire la carica di presidente dei Vignerons di Nus dal 2005 e della relativa Festa fino al suo 50ennale nel 2017, quando è stata interrotta per motivi più che altro legati alla tracciabilità del vino somministrato dai privati.
Nel febbraio scorso, però, abbiamo riaperto l’associazione e speriamo di tornare in pista già il prossimo autunno con i produttori professionisti locali».
Tra volontariato e sport popolari
Oltre al mestiere e alla viticoltura, cosa vi accomuna?
«L’essere vigili del fuoco volontari e la passione per gli sport popolari: tsan e palet».
Paolo ha giocato per 50 anni a tsan, è stato presidente della sezione del Nus e per 20 anni in serie A anche capitano, ma ora gioca solo a palet con Fabio che ha lasciato lo tsan tre anni fa, ma non la passione per il teatro popolare.
«Sono attore e autore di pièces teatrali in francoprovenzale della compagnia Le-S-Ami dou Patoué locale per la quale ho scritto L’amour a 2.600 métre; in scena sabato 27 aprile 2024 al Teatro Splendor di Aosta, nell’ambito del 43° Printemps Théâtral.
Tutto iniziò nel 1997. Fui tra i bambini scelti per uno spettacolo scolastico dal fondatore della compagnia Germain Vuillermoz e l’anno dopo debuttai al Printemps.
Il teatro è la mia passione principale, ma sono stato anche baritono nella “Chorale Nouventse”».
Se non foste bottai?
«Probabilmente – dice Paolo – sarei carabiniere, ma l’esser bottaio rappresenta la mia vita. Mangio polvere da 44 anni, certo con l’arrivo degli aspiratori ora ne mangio meno».
Per Fabio, invece, altro lavoro non ci sarebbe stato. «Son cresciuto tra le botti, non ho mai pensato ad un mestiere diverso e direi che con tutto “l’altro” che faccio… basta e avanza».
Vi vedremo alla Foire d’été il prossimo 3 agosto?
«Forse, ma di sicuro alla prossima Millenaria a Porta Praetoria, come sempre».
(nadia camposaragna)