Alta Quota, le riprese del film sulla vita dei rifugisti al Rifugio Torino
A fine marzo le riprese del film Alta Quota arriveranno sul Ghiacciaio del Gigante per raccontare la storia di Armando Chanoine, gestore del Rifugio Torino
Turismo, vite estreme, nuove sfide e cambiamenti climatici sono i temi al centro di Alta Quota, il documentario dei registi Fabio Mancari, Giacomo Piumatti e Stefano Scarafia che parla della crisi climatica sulle Alpi.
Obiettivo dei registi mostrare gli effetti del climate change nelle Alpi di Italia, Francia e Svizzera raccontando le storie di rifugiste e rifugisti.
Dal Ghiacciaio della Meije al Ghiacciaio del Gigante
Le riprese riprendono in questi giorni, nel Parco nazionale des Écrins, in Francia da Sandrine Delorme, trentacinque anni, che gestisce le Réfuge du Promontoire, sul Ghiacciaio della Meije, in Francia, remoto e quasi inaccessibile, senza acqua corrente, spesso completamente sepolto dalla neve.
Successivamente si sposteranno in Valle d’Aosta ai piedi del Dente del Gigante, per incontrare Armando Chanoine, guida alpina, maestro di sci e gestore del Rifugio Torino che si divide tra gli alpinisti in partenza per la conquista del Monte Bianco e i turisti che salgono con la funivia Skyaway, troppo spesso non idoneamente equipaggiati.
Anche in questo caso l’obiettivo è di raccogliere immagini e raccontare storie legate alla vita dei gestori dei rifugi in alta montagna (oltre i tremila metri), protagonisti del film.
È attraverso i loro occhi, infatti, che gli autori intendono raccontare come stiano cambiando gli ecosistemi e la vita in diverse location dell’arco alpino.
«Abbiamo scelto il punto di vista, cinematograficamente inedito, dei cosiddetti “rifugisti” per narrare un mondo dove tradizione e modernità vengono a contatto e, spesso, si scontrano. Con la Natura, e i suoi mutamenti anche estremi, a incombere» spiegano gli autori.
Al Refuge du Promontoire nel Parco Nazionale des Écrins sul versante sud della Meije, i registi inizieranno a raccontare la storia di Sandrine Delorme, che da sola gestisce uno dei rifugi più estremi delle Alpi, nel Delfinato francese.
«La sua storia ci permette uno sguardo sulla montagna tutto al femminile, dal punto di vista di una donna forte che si confronta con la natura ma anche con le sue debolezze», spiegano Mancari, Piumatti e Scarafia.
A fine marzo i registi si trasferiranno sul versante valdostano del Monte Bianco, per proseguire il racconto di Armando Chanoine, guida alpina e manager del Rifugio Torino, storico punto di partenza di cordate di scalatori che hanno fatto la storia dell’alpinismo mondiale, ma oggi anche meta di centinaia di turisti in visita al Ghiacciaio del Gigante.
Il film Alta Quota
Alta Quota (Italia – Francia, 80’, colore, in lavorazione) è prodotto da Stuffilm, Pulp Films e dalla valdostana L’Eubage; ha ricevuto il contributo allo sviluppo da parte della Film Commission Torino Piemonte e il sostegno alla produzione da parte della Film Commission Valle d’Aosta oltre al sostegno del Club Alpino Svizzero e dal Club Alpino Frances.
Le musiche del documentario saranno realizzate da Theo Teardo, musicista, compositore e sound designer, noto per le sue collaborazioni con artisti internazionali e celebri registi italiani; ha composto colonne sonore per numerosi film, ottenendo importanti riconoscimenti, tra cui il David di Donatello per Il Divo di Paolo Sorrentino, il Nastro d’Argento e il Ciak d’Oro.
I tre registi di Alta Quota hanno una vasta esperienza nella realizzazione di documentari di montagna, con i quali hanno partecipato a importanti Festival internazionali e che sono stati trasmessi in televisione, proiettati nei cinema italiani e sulle piattaforme streaming.
Sul tema del cambiamento climatico in montagna è inoltre in corso una prestigiosa collaborazione con Ice Memory, iniziativa scientifica internazionale riconosciuta dall’Unesco che ha l’obiettivo di raccogliere e conservare campioni prelevati dai ghiacciai di tutto il mondo.
I rifugisti coinvolti
Oltre a Sandrine Delorme e Armando Chanoine, il documentario racconta le storie di Venturino De Bona, gestore, insieme alla figlia Sofia di 9 anni, del Rifugio Torrani in Val di Zoldo, sulle Dolomiti e Daniela Brielmaier, rifugista al Rothornhütte in Svizzera, abbattuto e ricostruito a causa dello scioglimento del permafrost, e dell’architetto Ulrich e il capo cantiere Roni Brunner che sovraintendono il progetto.
I beni e i servizi che diamo per scontati, lassù assumono un altro peso.
Primo fra tutti: l’acqua.
La captazione dell’acqua richiede la presenza di un nevaio, spesso a chilometri dal rifugio, da collegare con tubi saldati l’uno con l’altro. Il freddo estremo li ghiaccia anche in estate e l’umidità li danneggia: per questo è necessaria una manutenzione continua.
L’approvvigionamento di cibo è un’enorme sforzo economico: chi ha la fortuna di avere impianti di risalita adiacenti riesce a risparmiare qualcosa, ma chi è isolato, a ore di cammino dalla valle, ha bisogno dell’elicottero per portare casse di viveri e altro materiale fino al rifugio, e paga migliaia di euro a ogni rifornimento.
Lo smaltimento dei rifiuti e delle acque reflue, la manutenzione continua delle strutture, sono solo alcune delle difficoltà che un rifugista deve fronteggiare quotidianamente in un ambiente dove le avversità meteo e ambientali sono estremamente violente e la scarsità d’ossigeno mette a dura prova il fisico dei clienti, dello staff e dei rifugisti stessi. Azioni quotidiane che in montagna diventano anormali e che accomunano, come una sorta di filo conduttore, i rifugisti. Donne e uomini, differenti tra loro, rappresentanti di un microcosmo che passa inosservato alla vista di chi vive la frenesia della pianura.
L’alta quota non è solamente una cornice geografica ma un vero e proprio mondo che i rifugisti hanno imparato ad abitare, accettandone pregi e difetti. Una realtà sulla quale incombe la minaccia del cambiamento climatico che sta alterando equilibri, ambiente e vite di chi ci abita per gran parte dell’anno.
Una montagna senza eroi
«Salvo rare eccezioni, finora l’alta montagna è stata raccontata, tanto nel cinema quanto nella letteratura, attraverso grandi imprese, avventure mitiche o sfide estreme di alpinisti eroici. Nel nostro film, di eroi, non ce ne sono» dicono i registi Fabio Mancari, Giacomo Piumatti e Stefano Scarafia.
«Il punto di vista è quello di personaggi da sempre ai margini di quest’epica: i rifugisti. Anello di congiunzione tra gli eterogenei frequentatori di un mondo in bilico tra l’immaginario romantico di un tempo, quando le Alpi sembravano eterne e immutabili, da esplorare e conquistare con sacrificio e a sprezzo della vita, e la realtà di oggi, turistica e pop, in cui da scoprire è rimasto poco o niente, e che rappresenta un importante indotto economico a cui è difficile rinunciare».
«I nostri protagonisti sono persone normali che gestiscono situazioni straordinarie, tentando ostinatamente di mandare avanti le loro vite e le loro attività, confrontandosi con i propri limiti e le proprie (e altrui) ambizioni. Il tutto in un luogo pieno di conflitti estetici e narrativi, che gli si sta letteralmente sfaldando intorno, tra ghiacciai che scompaiono, interi pendii che si sgretolano e rifugi che crollano. Per questo “Alta Quota” è un documentario che fotografa un mondo destinato a mutare inesorabilmente e che necessita -urgentemente- di un cambio di paradigma da parte di chi lo frequenta e di chi ci lavora. Un documentario che racconta il presente (in qualche modo forse già la memoria), ma parla anche di futuro».
Le Alpi si stanno sgretolando a causa della crisi climatica. Le conseguenze dell’aumento delle temperature sono ovunque sotto gli occhi di tutti, ma le montagne si stanno surriscaldando a velocità doppia rispetto al resto: per questo, in alta quota, l’impatto risulta ancora più devastante. I ghiacciai stanno sparendo, il permafrost si scioglie… vivere lì diventa sempre più estremo.
(er.da.)