Invasione russa, due anni dopo. I profughi ad Aosta: «Per noi ucraini o la libertà o la morte»
Sono 52 i profughi rimasti in carico nei centri di accoglienza della Valle d'Aosta. Dei più di 400 arrivati nel 2022 molti sono tornati in patria, altri provano a costruirsi una normalità. Le loro storie.
Prima che l’incubo della guerra su larga scala piombasse due anni fa sull’Ucraina, Olena Galkina ucraina di Mykolaiv, era venuta in Valle d’Aosta in vacanza con suo marito. «Courmayeur, Cogne, mi erano piaciute tantissimo – racconta -. Quando siamo stati costretti a lasciare il nostro paese, ho chiesto la possibilità di poter essere mandata qui. La Valle d’Aosta per me ora è come la mia seconda casa».
I numeri dei profughi ucraini in Valle d’Aosta
Ad arrivare in regione da fine febbraio 2022 erano stati in centinaia. «Molti di loro sono tornati in Ucraina, altri, soprattutto donne e bambini, sono rimasti qui», racconta Riccardo Jacquemod presidente della cooperativa La Sorgente che si occupa, tra glia altri a Donnas, di una parte dei profughi ucraini presenti sul territorio. In tutto 52 sono i rifugiati presi in carico dai centri di accoglienza regionali: 43 nel CAS di Donnas, 7 in quello di Villeneuve, e 2 inseriti nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) di Aosta. Tanti altri hanno trovato una sistemazione.
Le loro storie dalla guerra
Olena Galkina, osteopata di Mykolaiv
Olena è tra coloro che hanno provato a costruirsi una vita qui, sempre con il pensiero a chi, invece, ha deciso di rimanere a combattere.Quando Putin ha sferrato la sua “operazione speciale”, Olena lavorava nel suo studio di famiglia come osteopata a Mykolaiv, nel sud del paese. Il palazzo governativo della sua città, sventrato dai razzi nel marzo del 2022, è una delle immagini iconiche della guerra.
Oggi abita ad Aosta e grazie alla generosità della famiglia Zanatta che hanno accolto lei, suo figlio e il loro cane, prova a vivere una parvenza di normalità . «Partire – racconta Olena, senza tradire alcuna emozione – è stata una scelta difficile. Ho dovuto lottare con il senso di colpa. Mio figlio maggiore, che è un osteopata anche lui, mi ha ricordato che il mio compito nel caso in cui lui e mio marito fossero morti, era di proteggere mio figlio più piccolo, perché portasse avanti il nostro nome. Così mi sono convinta».
Tutte le lacrime che aveva da piangere, Olena racconta di averle già versate tutte, e il suo contegno composto impressiona nel sentirla parlare di guerra e distruzione. «I nostri ragazzi stanno morendo – racconta – e invece avrebbero potuto dare moltissimo a questo mondo».
Olena Lonska, avvocato di Kiev
Un’altra Olena, avvocato che a Kiev aveva un Sushi bar, invece, fa fatica a trattenere le lacrime ricordando il 24 febbraio 2022. «Quella mattina – dice – ci svegliammo con il boato dei bombardamenti russi, fu uno shock, non potevamo crederci». Olena Lonska, ora vive a Saint-Vincent e fa la cameriera, lavorare, dice, le permette di non pensare.
Ad aiutarla moltissimo è stata Olga Tolstova, una sua amica di Kiev che vive in Valle d’Aosta. Marzo 2020 fu per Olena un viaggio senza ritorno, più di 60 ore in auto in direzione Aosta. Da quel momento la sua vita ha perso la connotazione del tempo, c’è solo un eterno claustrofobico presente di guerra. «Non c’è futuro nella mia testa – dice Olena». «Tutti sapevamo di questa guerra – racconta Olga Tolstova, che durante le fasi iniziali dell’invasione si è spesa tantissimo per trovare una sistemazione ai suoi connazionali – ma nessuno ci credeva veramente».
Le ragioni dell’invasione, secondo lei, sono scritte nella storia stessa di Russia e Ucraina. «Siamo un paese ricco, i russi vorrebbero prendere i nostri territori – argomenta – sono milioni, assetati di guadagno, ma se non resistiamo non si fermeranno soltanto all’Ucraina. Per noi non c’è alternativa: o la libertà o la morte».
da Gazzetta Matin del 4 marzo 2024, Arianna Papalia