Il DOC della Coppa Davis Luca Semperboni
Il medico della Nazionale italiana di tennis, che collabora da diversi anni con il Medical Lab, ripercorre le emozioni del trionfo azzurro
Dal Cile di Pinochet, nel 1976, al trionfo di Malaga nel 2023. Dopo quarantasette anni, l’Italia torna sul tetto del mondo in Coppa Davis, superando in semifinale la Serbia e nella finalissima l’Australia, e riscrive la storia. Tra i protagonisti del successo, oltre agli straordinari eroi della racchetta, c’è anche Luca Semperboni, medico dello sport che collabora da anni con il Medical Lab.
Torinese di nascita, cittadino del mondo con esperienze di alto livello nel calcio alla Juventus, aostano d’adozione, visto il suo legame con il centro medico sito a Charvensod.
Assieme al “doc” della Davis andiamo a ripercorrere le emozioni di quegli indimenticabili giorni.
Dottore, sono passate alcune settimane dal trionfo di Davis. Quali sono le emozioni che suscita ancora il pensare a quei giorni?
Il sentimento che maggiormente provo è l’orgoglio, per aver partecipato a un momento storico dello sport italiano e aver raggiunto un traguardo incredibile per la mia professione. Sapevamo di avere una squadra forte. L’assenza di Russia e Spagna ci dava la consapevolezza di poter avere un’occasione incredibile per vincere, ma avevamo ancora addosso il fantasma della sconfitta in semifinale dell’anno scorso.
Dopo il trionfo contro l’Australia come avete festeggiato?
Non sono stati festeggiamenti esagerati, non come ero abituato a festeggiare nel calcio. Non avevamo previsto nulla, è stato semplice, goliardico, ma familiare. I più scatenati forse erano proprio i componenti dello staff medico.
Pensa anche lei che la vera finale fosse contro la Serbia, con i match point annullati a Djokovic da Sinner?
A tavola nei giorni precedenti si parlava di finale anticipata, sapevamo che passato quello scoglio avremmo poi potuto essere un pizzico favoriti. Anche quando la Serbia ha avuto i match point vivevamo una sensazione strana, sapevo bene chi c’era dall’altra parte della rete. Ho vissuto quelle fasi punto a punto e non ho mai pensato che potessimo perdere. Come ho detto a Jannik, vederlo sorridere ad ogni errore commesso, è stata una dimostrazione di forza incredibile.
Ci racconti qualche curiosità sui protagonisti della Davis: quali sono i lati caratteriali che non conosciamo di Sinner, Arnaldi, Musetti, Berrettini, Sonego e Bolelli?
I ragazzi sono tutti molto diversi, per me è stato come avere sei figli in più. La cosa che mi ha stupito maggiormente è vedere come gli manchino le cose più semplici, come una gara sui kart, una partita di basket al parco o tre giorni con la famiglia. Spesso a personaggi così visibili e impegnati questo non è concesso e ciò deve far riflettere. Dopo varie esperienze ora posso dire che, indipendentemente dal livello, fuori dal campo tutti gli spogliatoi e tutti i ragazzi sono uguali.
Si è parlato molto delle critiche ricevute da Sinner da parte dei giornali durante il vostro cammino: come le ha vissute lui e come le ha interpretate lei?
Jannik è un ragazzo intelligente, con uno staff di alto profilo, avevano le idee chiare e non penso che le critiche li abbiano destabilizzati. Quando è stato con noi Sinner ha dato sempre il massimo e ha messo a disposizione tutte le energie che aveva, non arretrando mai. Questa è stata la risposta migliore. So quanto ci tiene a rappresentare l’Italia e sono certo che lo farà in tante altre competizioni.
Segue la Nazionale di tennis e collaborava con la Juventus: quali sono le differenze nell’approccio e nelle problematiche da affrontare tra tennisti e calciatori?
L’atleta di alto livello è sempre particolare, indipendentemente dallo sport. Per questo le esperienze in Juventus e J-Medical sono state fondamentali, per permettermi di fare questo un ulteriore step. Se sbagli una diagnosi, una prognosi o dai un via libera frettoloso nel calcio provochi al massimo un infortunio, o un cambio. In finale di Davis, se sbagli, perdi il match. Nel tennis non ci sono cambi, quindi è tutto più importante.
Lo sport si evolve velocemente: come si sviluppa la preparazione di questi atleti a stagioni massacranti e come curate la parte alimentare?
Questo è il vero problema del tennis. E’ uno sport a basso rischio, ma a causa dei tanti impegni sta diventando ad altissimo rischio. La differenza con il calcio in questo ambito è abissale. Il tempo dedicato alla preparazione e alla prevenzione nel tennis è veramente troppo poco. E’ fondamentale programmare le stagioni, giocando di meno e preparandosi di più, ma solo pochi possono permetterselo, se non giochi non guadagni. L’alimentazione è il problema minore. Al di là delle mode, il nostro motore è così da migliaia di anni e sappiamo bene cosa gli serva per funzionare al meglio. Credo che il focus sia solo quello di organizzare l’alimentazione con il timing corretto tra i vari impegni.
Da medico, qual è il prototipo ideale di atleta in cui si è imbattuto durante il suo percorso?
Ne ho avuti parecchi, ma penso che Sinner, in questo momento, sia quello più vicino a quel tipo di atleta. Unisce talento a organizzazione, dedizione a mentalità. Sono certo che migliorerà ancora, visto che non è ancora al suo massimo del potenziale fisico e tecnico.
Nel raggiungimento di obiettivi prestigiosi in che percentuale valuta l’importanza del talento, della forza mentale e quello legato alla condizione fisico-atletica?
Tutti dicono la testa, io invece dico talento. Ci sono persone che si muovono, ragionano, ballano, disegnano, scrivono in modo diverso, quelle le riconosci subito e si posizionano sempre in alto. Possono stare un po’ più su o un po’ più giù, e questo dipende certamente dalla loro voglia di lavorare e dalla testa, ma se sei al top, in qualsiasi ambito, non ci sei per caso. Ci sei perché hai qualcosa più degli altri.
La vittoria della Davis è la gioia più grande nel suo percorso finora?
Personalmente no, sportivamente e professionalmente certamente sì. Vede, io faccio un lavoro che unisce la medicina allo sport e non può esserci traguardo maggiore che essere medico di una squadra campione del mondo.
Quali sono gli obiettivi futuri e qual è l’atleta che non segue che vorrebbe poter affiancare?
Non ho mai aspirato a qualcosa di particolare, mi sono sempre impegnato e ho cercato di fare le cose bene, le opportunità sono poi arrivate. A questa domanda risponderei da “boomer”, calciofilo, amante degli anni ‘90: direi Ronaldo il Fenomeno. Sportivamente il mio idolo, e da medico mi avrebbe dato un bel da fare.
Intervista di Davide Chicarella