Consiglio di Aosta unito contro la violenza di genere e il femminicidio
L'assemblea cittadina ha approvato all'unanimità un ordine del giorno congiunto con l'impegno di spingere sulla via dell'educazione, della prevenzione e del miglioramento degli strumenti legislativi
Due ordini del giorno, uno della maggioranza e uno di Renaissance, riuniti in uno solo, per dire un forte no, pur tra visioni diverse, alla violenza contro le donne e al femminicidio.
È stato un iter travagliato, durato un paio d’ore, ma alla fine il consiglio comunale di Aosta ha trovato l’unanimità nel condannare tutte le forme di violenza di genere e nei confronti delle persone più deboli.
Il tutto con la voglia di promuovere iniziative volte a cambiare un’educazione e un mondo culturale ancora troppo impregnati di maschilismo.
L’ordine del giorno
L’ordine del giorno condiviso, votato all’unanimità, richiama la definizione di violenza di genere delle Nazioni unite, la Convenzione di Istanbul del 2011 (sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica) e ricorda le 106 vittime, a oggi, di femminicidio in Italia.
Rilevato anche come l’Ue condanni l’Italia in quanto «carente rispetto alla corretta valutazione del rischio, offrendo una risposta tardiva e inefficace rispetto alle denunce», il Consiglio comunale si pone l’obiettivo di «tutelare la dignità della donna quale antidoto alla violenza», contrastare «ogni forma di violenza e discriminazione, adottando misure che incidano profondamente sulla cultura delle nuove generazioni» e aumentare «le risorse economiche destinate al contrasto di violenze e discriminazioni e al sostegno delle vittime» delle stesse.
Il tutto ricordando il ruolo primario della famiglia nell’educazione, ma anche la volontà di promuovere «un cambiamento positivo di tutta la comunità educante», magari con percorsi «dedicati all’educazione all’affettività, alla salute riproduttiva, al rispetto delle differenze, eliminando gli stereotipi, focalizzandosi sullo sviluppo dei principi di eguaglianza, pari opportunità e non discriminazione e sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali».
Ecco quindi l’impegno per Sindaco, Giunta e presidenza del consiglio a farsi portavoce per «promuovere l’introduzione tra le attività didattiche delle scuole di percorsi educativi volti all’eliminazione degli stereotipi e della violenza di genere», così da dare strumenti utili alle nuove generazioni.
In aggiunta, la promozione di attività «formative per i docenti, per le diverse figure educative e momenti di confronto dedicati alle famiglie», il potenziamento del sostegno economico per i «percorsi di fuoriuscita dalla violenza» favorendo «l’autonomia abitativa e implementando anche le reti antiviolenza».
Non ultimi, gli obiettivi di migliorare «strumenti legislativi», intensificare il lavoro di rete (anche con maggiori risorse per la Consulta per le Pari Opportunità e non discriminazioni), mantenere alto l’impegno per «contrastare ogni forma di violenza nei confronti delle donne», nonché contrastare, con «la massima urgenza, la violenza contro le donne assumendola come priorità nel definire le politiche di uguaglianza e pari opportunità», con codici di comportamento per gli uffici pubblici.
Il tutto trasmettendo il documento approvato al Governo centrale, attraverso i propri rappresentanti parlamentari, al Presidente del Consiglio regionale e al CPEL.
Le dichiarazioni
Varie e variegate le dichiarazioni dei consiglieri comunali.
Il capogruppo di Pcp, Paolo Tripodi, ricorda «il terribile 2023, con una donna uccisa ogni tre giorni» e sottolinea come «amarezza e delusione non devono prendere il sopravvento, ma spingerci a far cambiare rotta».
Riportate le parole del Papa, che spinge a educare «uomini capaci di relazioni sane», non risparmia una stilettata a quanto detto in Regione dal consigliere Luca Distort: «Mi aspetto che, vista l’unione di intenti, i colleghi si dissocino».
Queste parole fanno nascere nuovi dissapori, poi presto rientrati, grazie anche alle parole dell’assessora alle Politiche sociali, Clotilde Forcellati, che elogia «il lavoro certosino di cucitura» per temi che «toccano aspetti personali e sensbilità politiche differenti».
Ricordato come spesso serva cambiare «occhiali» per notare che una persona «ci controlla in maniera sbagliata e ci considera sua proprietà», Forcellati punta il dito su quanto sia «doloroso per le donne riconoscere che ci sia violenza – illustra -. E quando si vede è più facile dire che non esiste, perché è all’interno di relazioni intime».
Ecco quindi il femminicidio visto come «apice di una piramide di violenza» fatta di parole, espressioni e comportamenti, ma che può essere sconfitta solo da un cambiamento basato sulla Convenzione di Istanbul.
«Bisogna prevenire la violenza – conclude Forcellati -, perseguire penalmente e arrivare alla certezza della pena e lavorare a politiche integrate», che partano da percorsi di riabilitazione «non finti, ma profondi».
Poi, un appello: «Gli uomini devono prendere su di sé la responsabilità collettiva, non basta dire io non sono così».
Cristina Dattola de La Renaissance chiede di «lavorare sulle emozioni, introducendo un percorso educativo per la loro formazione – scandisce -. Prevenzione è la parola d’ordine. Inquieta vedere i ragazzi che vivono le emozioni sul web e si sentono inadeguati alla vita reale: con questi vuoti non gestiscono le relazioni vere».
Sylvie Spirli (Lega) elogia l’idea di mettere da parte «idee e appartenenze politiche» per un obiettivo più grande, non replica alle «becere provocazioni» di Tripodi e sottolinea come la battaglia sia da «costruire tutti insieme – dice -, approfondendo il fenomeno della violenza di genere con uno scambio tra istituzioni, forze dell’ordine, magistratura e operatori coinvolti».
E rimarca. «La vicenda di Giulia Cecchettin, purtroppo, ma anche per fortuna, ha rappresentato un punto di svolta per il dibattito sul femminicidio – chiude -. Le attuali sanzioni penali non hanno un effetto deterrente, manca la certezza della pena».
Gabriella Massa, consigliera di Pcp, ammette la fragilità delle nuove generazioni, ma spiega come «cambiamenti profondi avvengono in tempi lunghi – dichiara -. Siamo immersi in una cultura, certe cose sono sempre state tollerate come normali, ma dobbiamo avere pazienza e la consapevolezza di dover partire da questo per uscire dagli schemi».
Bruno Giordano (Lega), ricorda le lezioni di sociologia della famiglia e punge.
«Negli ultimi 30 anni è venuta progressivamente a mancare la Cultura del rifiuto – sottolinea -. Noi siamo cresciuti con la cultura dell’autorità, ma la nostra generazione si precipita a togliere gli ostacoli lungo la via dei figli, che poi hanno un impatto devastante con il primo no, non lo comprendono. È importante ripristinare la cultura dell’autorità, perché è prima di tutto un problema culturale che cozza contro 2000 anni di storia».
Giovanni Girardini, Renaissance, riconosce una società di «ipocriti – esclama -. Gridiamo dai tetti ciò che dovrebbe essere, ma sono tutte cose che continuiamo a volere o accondiscendere».
Girardini ricorda l’educazione di un tempo «forse anche esagerata», ma che non ha trovato «un sostituto», così come non lo si è trovato all’idea di «famiglia “tradizionale – afferma -. La nostra società l’ha distrutta senza riuscire a costruirne una nuova, destabilizzando una struttura che, pur con tutti i suoi stereotipi, dava una stabilità».
Roberta Carla Balbis (Renaissance) spiega come il tema sia «una piaga trasversale, senza limiti di ceto» e chiede a gran voce di «lavorare sullo sguardo culturale – conclude -. È bene ricordare cosa facevamo, ma senza perdere gli elementi di novità. Applichiamo le norme, vigenti, piuttosto che intervenire sempre a valle, quando la violenza ormai ha preso corpo».
Sergio Togni (Lega) sprona la Giunta a «passare dalle parole ad azioni concrete», mentre Renato Favre (Forza Italia) provoca: «La società non capisce che l’uomo non è il soggetto forte e la donna quello debole – rintuzza -. Per fare questo bisogna investire, ma le donne muoiono ora, perché hanno paura di denunciare. Bisogna intervenire sulla protezione, magari ripensando le scorte ai politici».
La vice sindaca, Josette Borre, sposta il mirino.
«È fondamentale ricordare ai nostri figli di raccontare, parlare, osservare e capire chiunque sta loro vicino, non educarli alle emozioni, ma all’ascolto delle stesse – dice -. Oggi si osserva poco noi stessi e ancor meno gli altri. Spero di trasmettere ai miei figli che non le relazioni virtuali, ma solo quelle umane possono dare comprensione, in un mondo fatto non solo di donne vittime e uomini cattivi. E in questo percorso ognuno può fare la differenza».
In conclusione, il sindaco Gianni Nuti ricorda il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi.
«Ci insegna che non è vero che una volta c’erano valori – argomenta -. C’era violenza cruda, sottile e quotidiana, costruita sull’umiliazione e il non riconoscimento delle persone. Il punto di arrivo, però, non sono stati una manifestazione di affetto per un altro uomo o la fuga verso un mondo personale che liberasse dal giogo, ma il vivere un’esperienza collettiva di partecipazione civica. E quindi sono fiducioso: quando su questi scranni la maggior parte saranno donne, il mondo si sarà ulteriormente evoluto verso un annullamento del problema della discriminazione di genere».
(alessandro bianchet)