Consiglio Aosta: parità di genere, va in onda la deflagrazione della maggioranza
L'ordine del giorno di Area Democratica mette a nudo tutte le divisioni interne alla maggioranza del sindaco Gianni Nuti: Pcp è in frantumi
La questione della parità di genere in Regione ha mandato in scena l’esplosione della maggioranza nel consiglio Comunale di Aosta.
Che la situazione fosse tesa lo si era già notato dai primi segnali in apertura, con la presenza tra il pubblico di Raimondo Donzel, ma soprattutto con una sospensione durata praticamente un’ora.
Come erano anche arci-noti gli schieramenti interni alla maggioranza, spaccata tra Pcp (o quel che ne rimane), Pd e Area Democratica, con Av e Uv e fare da spettatori interessati, ma non protagonisti e silenti.
Fatto sta che l’ordine del giorno presentato dai portacolori di Area Democratica, Diego Foti e Luciano Boccazzi, che richiedevano di mettere nel mirino la mancanza di donne nella giunta regionale, ha fatto definitivamente deflagrare le distanze nel governo comunale.
Già perché oltre alla lotta intestina in Pcp, con tutte le ali contro il Pd, si è assistito anche alla resa dei conti con il capogruppo Fabio Protasoni, nervoso a girare per l’aula mentre si rincorrevano da parte “amica” e dall’opposizione infinite frecciate.
Risultato? Ordine del giorno bocciato (Uv e Av contrari, così come Antonio Crea, assessore Loris Sartore staccato dal voto, così come Sarah Burgay e il capogruppo Fabio Protasoni, ala Pd astenuta, Renaissance e Forza Italia astenuti e Lega contraria) e situazione tesissima, con un’aria pesante che fa anche pensare a ulteriori sommovimenti a livello di composizione del gruppo, di Pcp, ma anche di maggioranza.
E questo a maggior ragione visto il tentativo di mediazione (tradotto in emendamento) provato in extremis dalla maggioranza, ma gentilmentre rispedito al mittente, perché per andare con le parole di Bruno Giordano (ma non solo) questo appare tanto come «il primo di tanti giochini e mezzucci a cui assisteremo fino a maggio 2025».
L’ordine del giorno
A far deflagrare il tutto, come detto, è stato l’ordine del giorno presentato da Area Democratica, già annunciato ai media e ospitato simile in place Deffeyes.
Il documento, in sostanza, dopo le istanze rappresentate fuori dal palazzo comunale, con tanto di lettera targata Rete Civica indirizzata a Laura Boldrini, e minacce del gruppo di Valle d’Aosta Aperta di rivolgersi al presidente della Repubblica, chiedeva al consiglio comunale di auspicare la creazione delle «condizioni culturali, legislative e amministrative affinché non si verifichino situazioni di rappresentanza monogenere nelle giunte regionali e che siano garantite reali pari opportunità di accesso attraverso una rinnovata legge elettorale».
Uno dei due proponenti, Diego Foti, ha spiegato come il documento sia stato pensato per «portare all’attenzione di tutti il rispetto della parità di genere», alla luce di un governo regionale «di soli uomini» per una scelta «prettamente politica». Il tutto per colpa della «legge elettorale», ma soprattutto per le scelte politiche alla base.
La replica
La prima replica è siglata dall’assessora con delega alle Pari Opportunità, Titti Forcellati, che dopo una premessa ha tolto il velo sullo scontro intestino a Pcp.
«Siamo favorevolissimi agli equilibri di genere – ha tuonato -, ma la parità non è una cosa di cui riempirsi la bocca e basta. Sull’argomento questa giunta e questa maggioranza possono dire la loro, perché la legge elettorale ha permesso la parità, anche se questo non basta, visto che a monte ci sono le scelte dei partiti».
Forcellati ha spostato poi il mirino.
«La rappresentanza di genere in Regione non è adeguata – ha evidenziato l’assessora – e la legge elettorale va cambiata, insieme al modo di affrontare la politica. Ma quando in nome di un argomento così importante si usa uno strumento per attaccare o delegittimare una forza politica (PD ndr), non siamo d’accordo. Così si sacrifica un argomento nobile con strategie di basso livello».
Luciano Boccazzi ha rincarato la dose sostenuta dal compagno di area Diego Foti.
Ricordata la genesi della protesta, l’alfiere di Area Democratica ha spiegato come non siano state sfruttate le possibilità di avere una donna in giunta regionale e poi ha esclamato.
«È arrivato il momento di cambiare la legge elettorale e questo ordine del giorno vuole sensibilizzare la parte che in consiglio regionale ha modo di vedere molto maschilista».
La maggioranza (?)
È poi partito il fuoco di fila di maggioranza e minoranza, inaugurato da Paolo Tripodi, alfiere di Pcp, ma in quota Pd.
«Il tema è estremamente importante, ma avrei scelto una strada più giusta per affrontarlo – ha affermato Tripodi -. Credo si sia tirato fuori il tema per ottenere altre cose. Abbiamo avuto attacchi da tutte le parti, con il chiaro obettivo di strumentalizzare la tematica».
Per non parlare del «tempismo – ha concluso -. Sono 20 anni che si dovrebbe parlare di questo tema».
Cecilia Lazzarotto, fresca di ingresso nella direzione nazionale del Pd, non le ha mandate a dire.
Evidenziato come si dovrebbe parlare non solo di parità di genere, ma di pari opportunità tout-court, ha rotto gli indugi, ha tirato una frecciata a Fabio Protasoni («bello vedere il capogruppo che ride»), poi ha dilagato.
«Sono la prima ad appassionarmi e lavorare su questi temi – ha esclamato – e sentire che non c’è attenzione nel Pd offende me e tutte le persone che ci lavorano. Le donne in Regione? C’erano, ma hanno deciso di lasciare e mi resta il rammarico di non aver voluto trovare un punto di incontro».
Lazzarotto ha ricordato come «non abbiamo mai negato il problema della parità», ma ha trovato «triste e deludente sfruttare questi dibattiti per fare campagna elettorale, strumentalizzando le elezioni della prima segretaria donna del Pd, invece di accoglierla».
E chiedendo di erigere ponti e non muri ha concluso.
«Abbiamo solo tre donne su undici qui nel gruppo comunale, forse dovremmo guardare qui prima che altrove. Queste battaglie sono da fare insieme. Io so bene cosa siano gli attacchi alle donne e lavoro per far sì che non si ripetano».
Pietro Varisella, capogruppo di Alliance Valdôtaine, ha rimarcato come l’iniziativa serva «non per fare politica, ma per una rappresentazione elettorale e propagandistica nei confronti di un partito che sta emergendo e può dare fastidio – ha attaccato -. Qui la rappresentanza di genere c’è. Possiamo dare un giudizio sulla Giunta regionale, ma questo non è il luogo e poi, onestamente, mi sarebbe parso più offensivo se il presidente della Giunta avesse “cercato” una donna a caso, senza merito e giudizio».
Mentre Roberto Favre (Uv) ha sottolineato come «si vuole mettere solo la bandierina politica perché il 2025 si sta avvicinando».
La minoranza
La minoranza si è goduta lo spettacolo e ha infilato gli spuntoni nei punti giusti al toro palesemente ferito.
«Avete trovato una nuova fonte di polemica – ha esordito caustico come suo solito Bruno Giordano (Lega) -. Questo risultato è figlio di una perversa legge elettorale, che per punire l’elettorato passivo ha fatto diventare mafiosi gli elettori attivi».
Ricordato come se Testolin avesse deciso di creare un assessorato tecnico da «affidare alla sua Lucia» sarebbero comunque scoppiate le polemiche, Giordano ha affondato il colpo.
«Un anno e mezzo fa il sindaco disse: non riuscirete a dividerci, ma mi pare che ci riusciate benissimo da soli – ha continuato la sua offensiva -. Pcp è su un binario morto, c’è VdA Aperta, la sinistra-sinistra e un Pd che ha segretario regionale e membri delle direzioni regionale e nazionale, ma non un gruppo consiliare. E il capogruppo di tutto è del partito sul binario morto. Noi non vi toglieremo le castagne dal fuoco».
E prima di dichiarare il «voto contrario alla vostra ipocrisia» ha consigliato alla maggioranza di «venire allo scoperto», anche se «finalmente abbiamo una vostra rappresentazione plastica», che dietro a tutto questo ha «un papà politico, Elio Riccarand, che ha fatto Pcp per poi abbandonarlo: bene, a questi giochini non ci stiamo più».
Giovanni Girardini, capogruppo di Renaissance, ha etichettato la discussione «di una tristezza assoluta» e si è dispiaciuto di come la «povera Italia» veda ancora discorsi simili.
Evidenziato come «la politica non cammina davanti alla società, che si rivela comunque primitiva», Girardini ha tacciato il tutto come «il trionfo della “paraculaggine”», con forze politiche che «si riempiono la bocca di cambiare la legge elettorale, ma bisogna poi chiamare Re Umberto per arrivarci».
E invece la politica «si divide», ma almeno ora «il Re è nudo, gli avete sfilato anche le mutande, dando la perfetta immagine della politica valdostana del tutti contro tutti».
Annunciando l’astensione, Girardini ha chiesto chiarezza.
«Il re ormai l’avete scorticato, ma tutto questo in cosa sfocia? Ci vorrebbe chiarezza, se mi trovassi in dissonanza con il mio gruppo me ne andrei».
Ha chiuso la sfilata delle minoranze Paolo Laurencet (Forza Italia).
«Accogliamo con piacere il fatto che oggi finalmente abbiate fatto outing, questo ci aiuterà nei prossimi consigli; rispettiamo la vostra grande capacità nel dividervi».
Le votazioni
Al momento delle votazioni, Forcellati ha provato a tirare le fila, ma è ripartita all’attacco.
Puntato il dito sulle espressioni usate da Boccazzi «che offendono, perché la donna non è un oggetto che metti e sposti come vuoi», l’assessora ha chiesto «rispetto» e si è assunta la responsabilità, come Pd «di una legge elettorale che non mi piace».
E ha chiuso.
«Oggi è un brutto giorno – ha concluso -. Avevamo proposto un emendamento, per arrivare a un’importante azione da parte di tutto il Consiglio, ma è chiaro che l’obiettivo era attaccare la mia forza politica».
A proposito di divisione, l’assessore all’Ambiente, Loris Sartore, ha annunciato la volontà di non votare «in quanto un tema su cui c’è molta strada da fare non è stato affrontato nelle modalità giuste» e si è allineato a Protasoni e Brugay.
Ci ha pensato Antonio Crea ad annunciare il voto contrario.
«Abbiamo vissuto una pagina non bella – ha esclamato -. Qui le disposizioni regionali sono sempre state rispettate e per questo voto contro. Mi auspico, però, che ora si inizi a far chiarezza all’interno del gruppo. O si dialoga rinunciando a qualcosa, o ci si divide».
Laurent Dunoyer, capogruppo Uv, ha confermato il voto contrario e si è posto «tanti interrogativi – ha detto -. Questo odg mi pare un tentativo goffo di ravvivare posizioni politiche sbiadite, ed è limitato nella visione».
Diego Foti, in chiusura, prova a chiudere l’incidente.
«Volevamo evitare il silenzio su un dato di fatto, in Regione non c’è rappresentanza di genere. La sinistra ne fa un principio, la destra no, ma lo applica».
(alessandro bianchet)