Egomnia, la DDA: «Il Locale ha sostenuto i candidati, ma manca la prova di uno scambio»
Nella richiesta di archiviazione, la Procura evidenzia come non siano emersi «elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio, con conseguenza infondatezza della notizia di reato»
«Che il sostegno elettorale, promesso, accettato ed effettivamente assicurato dai componenti del Locale (di ‘ndrangheta ndr) di Aosta, vi sia stato in occasione delle elezioni del 2018 in Valle d’Aosta, appare obiettivamente riscontrato dagli esiti dell’indagine», ma questo «non è sufficiente ai fini della dimostrazione della sussistenza dell’ipotesi di reato» di scambio elettorale politico-mafioso. Nelle carte dell’indagine, infatti, non vi è traccia della prova di un avvenuto (o promesso) scambio.
E’ quanto scrive il pm della DDA di Torino, Valerio Longi, nelle sei pagine di richiesta di archiviazione per l’inchiesta Egomnia sui presunti rapporti tra la ‘ndrangheta e alcuni politici valdostani. A ricevere l’avviso di conclusione indagini erano stati tre ex presidenti della Regione: Antonio Fosson, Laurent Viérin e Renzo Testolin. Con loro erano stati indagati l’ex assessore Stefano Borrello e l’ex consigliere regionale Luca Bianchi, ma anche tre presunti membri del Locale, cioè Antonio Raso, Alessandro Giachino e Roberto Alex Di Donato; tutti e tre condannati in appello in Geenna (la Cassazione si esprimerà nei primi mesi del prossimo anno).
Gli otto indagati erano accusati di voto di scambio. Le accuse, però, sono cadute dopo che il gip ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla DDA.
La richiesta di archiviazione
Secondo la Procura torinese, all’inchiesta Egomnia mancano «elementi fattuali sintomatici della preesistenza di un accordo per il voto di scambio» e «difetta la prova logica dell’esistenza di tale accordo, non essendo evidentemente sufficiente la prova del sostegno elettorale da parte di persone appartenenti alla ‘ndrangheta decise a orientare il consenso elettorale».
Per questi motivi, prosegue il documento, non vi sono «elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio (..), con conseguenza infondatezza della notizia di reato». E se è vero che perché si concretizzi un ipotesi di voto di scambio è necessario un accordo tra il politico (che riceve i voti) e un esponente della ‘ndrangheta (che ottiene utilità o la promessa di ottenerne in futuro), le “utilità” sono proprio l’elemento «di cui difetta la prova», secondo la Procura.
Prosegue la richiesta di archiviazione: «Considerata la natura dell’incarico al cui ottenimento è finalizzato l’accordo politico/mafioso, è ovvio che le utilità saranno precisamente individuate solo in epoca successiva all’elezione e all’assuzione della carica». Ma, in questo caso, «la prova» è stata condizionata «certamente dal fatto che nel settembre 2018 veniva ultimata e inoltrata al gip la richiesta di misura cautelare» relativa all’inchiesta Geenna, con l’arresto – nel blitz del 23 gennaio 2019 – anche di Giachino, Raso e Roberto Di Donato.
Per l’accusa, quindi, «non vi era stato materialmente il tempo perché» dopo il voto «si manifestassero e potessero essere apprezzati quei comportamenti sintomatici, in termini di utilità procurate o di disponibilità manifestata, di un accordo preesistente alla competizione elettorale».
(f.d.)