‘ndrangheta, appello Geenna: un Locale c’era e puntava alla politica
Depositate le motivazioni della sentenza con cui i giudici hanno condannato Bruno Nirta, Marco e Roberto Di Donato e Francesco Mammoliti
Rapporti «tra esponenti del Locale» di ‘ndrangheta aostano «e l’area politica valdostana». Per la Corte d’Appello di Torino «dalle emergenze processuali viene chiaramente in rilievo come il controllo del territorio esercitato dall’associazione mafiosa di matrice ‘ndranghetista insediatasi in Valle d’Aosta si sia manifestato anche e in particolare attraverso l’inserimento in istituzioni amministrative e politiche di soggetti intranei, o vicini a essa, nelle istituzioni politiche». Il tutto attraverso «il procacciamento di voti a determinati candidati» in un’ottica «di restituzione di vantaggi».
E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza Geenna per gli undici imputati in abbreviato; il dispositivo del verdetto era stato letto in aula, a Torino, il 19 luglio scorso, ma le motivazioni sono state depositate solo a fine dicembre.
Gli imputati
Per quanto riguarda il “filone valdostano” dell’inchiesta – condotta dalla DDA torinese – sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella regione alpina, alla sbarra vi erano il presunto boss Bruno Nirta (difeso dall’avvocato Luigi Tartaglino e condannato in secondo grado a 12 anni e 7 mesi), il vertice del Locale aostano Marco Fabrizio Di Donato (avvocato Demetrio La Cava; 9 anni), suo fratello Roberto Alex (difeso da Anna Chiusano e Wilmer Perga; 5 anni e 4 mesi) e il sodale Francesco Mammoliti (avvocato Rocco Femia; 5 anni e 4 mesi).
Ma per l’accusa, del Locale di ‘ndrangheta avrebbero fatto parte anche il ristoratore Antonio Raso, l’ex dipendente del Casinò Alessandro Giachino e l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico; tutti e tre sono stati condannati dalla Corte d’appello di Torino (in altro procedimento) per associazione mafiosa. Non solo: al termine del dibattimento, i giudici di secondo grado avevano condannato per concorso esterno anche l’ex assessore di Saint-Pierre Monica Carcea. Assolto invece con formula piena l’ex consigliere regionale Marco Sorbara.
Riguardo alla posizione di Marco Di Donato, nelle oltre 800 pagine che motivano la pronuncia di secondo grado dell’abbreviato i giudici della prima sezione penale evidenziano come sia da ritenere «comprovato» l’appoggio elettorale ottenuto da Carcea in occasione delle elezioni comunali del 2015. Per la Corte, infatti, «deve ritenersi comprovata la responsabilità di Marco Di Donato per il reato di patto di scambio» a favore di Carcea, che risulterà eletta e assumerà l’incarico di assessora.
Mafia e urne
Sempre in tema di “urne”, dopo aver richiamato le risultanze dell’inchiesta Egomnia sul presunto condizionamento delle elezioni regionali del 2018, i giudici d’appello analizzano: «Il sostegno elettorale offerto dal Locale di Aosta ai candidati prescelti non si fonda sulla appartenenza degli stessi a un particolare schieramento politico, ma sulla possibilità che il candidato, una volta eletto, asseconderà le richieste avanzate dal sodalizio». Tradotto: voti in cambio di «posti di lavoro, appalti e altre agevolazioni amministrative per gli affiliati e per quelli vicini» al Locale di ‘ndrangheta.
Più in generale, comunque, la sentenza conferma l’esistenza della consorteria criminale collegata ai Nirta di San Luca, definendola come una struttura delocalizzata della criminalità organizzata calabrese. Una conferma in questo senso arriverebbe dal fatto che «al vertice del Locale di Aosta emerge la figura di Marco Di Donato, cugino di Bruno Nirta, che si pone come elemento di collegamento con la “casa madre”», cioè il Locale di San Luca.
E proprio da questo legame con la Calabria deriverebbe «la forza intimidatrice» della consorteria aostana.
(f.d.)