Geenna, maxi condanne anche in Appello: oltre 32 anni a Nirta, i due Di Donato e Mammoliti
Sostanzialmente confermate le pene inflitte un anno fa nel processo celebrato con rito abbreviato
Si è chiuso con 11 condanne – così come avvenuto in primo grado – il processo d’Appello relativo all’inchiesta Geenna per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. La pena più alta, anche se parzialmente riformata rispetto alla sentenza del gup di Torino (meno di un mese di differenza), è quella inflitta a Bruno Nirta: 12 anni e 7 mesi di reclusione.
Confermate invece le pene comminate in primo grado un anno fa nei confronti di Marco Fabrizio Di Donato (9 anni), Roberto Alex Di Donato (5 anni e 4 mesi) e Francesco Mammoliti (5 anni e 4 mesi). Erano tutti accusati di associazione mafiosa.
Ma alla sbarra, imputato per tentata estorsione e violazione della normativa sull’uso delle armi, vi era anche un’altro valdostano: Salvatore Filice (avvocati Gianfranco Sapia ed Elena Corgner). Per lui è stata confermata la condanna di primo grado a 2 anni e 4 mesi.
Le motivazioni della sentenza sono attese in 90 giorni.
Il dispositivo
Il dispositivo è stato letto in aula oggi, lunedì 19 luglio, dai giudici della I sezione penale della Corte d’Appello di Torino. Il processo, nato dall’inchiesta coordinata dalla DDA di Torino (pm Stefano Castellani e Valerio Longi) e condotta dai Carabinieri, si divideva in due filoni.
Il primo, “aostano”, riguarda l’esistenza di un presunto Locale di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. Secondo i pm antimafia, della consorteria criminale facevano parte il presunto boss Bruno Nirta (avvocato Luigi Tartaglino), i fratelli Marco (avvocato Demetrio La Cava) e Roberto Di Donato (difeso da Wilmer Perga e Anna Chiusano) e Francesco Mammoliti (avvocato Rocco Femia). Tutti erano accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il secondo filone, invece, riguarda un presunto giro di droga con epicentro il Piemonte. Anche in questo contesto era imputato Nirta.
L’inchiesta
Ma facciamo un passo indietro: secondo quanto ricostruito dai Carabinieri e confermato in primo grado dalla sentenza del gup di Torino Alessandra Danieli il 17 luglio 2020, quattro degli undici imputati in abbreviato facevano parte di una struttura ‘ndranghetista presente e operativa in Valle d’Aosta.
Al vertice del Locale, sempre secondo la DDA, vi era Bruno Nirta, ritenuto dagli investigatori una figura legata alla ‘ndrina Nirta-Scalzone di San Luca.
Altro membro di spicco della consorteria sarebbe Marco Fabrizio Di Donato, parente di Nirta e personaggio di riferimento per i sodali oltre che anello di congiunzione con vari Locali della ‘ndrangheta in Piemonte.
Suo fratello Roberto Alex, invece, per la Distrettuale aveva il ruolo di “partecipe” all’interno del sodalizio. Stesso ruolo rivestito da Francesco Mammoliti, ritenuto dagli inquirenti una sorta di “braccio destro” di Nirta quando quest’ultimo si recava in Valle d’Aosta.
Le reazioni
Uscendo dall’aula 7 del Tribunale di Torino, l’avvocato Tartaglino (difesa Nirta) ha detto ai cronisti: «Impugneremo questa sentenza perché a mio avviso non ci sono elementi tali da giustificare una condanna. Ora però attendiamo di poter leggere le motivazioni».
Il suo collega La Cava (difesa Marco Di Donato), invece, ha spiegato: «Siamo molto delusi. A mio parere mancavano i presupposti per confermare la sentenza di primo grado. Sicuramente andremo in Cassazione, ma secondo me non c’era nessuna associazione (mafiosa ndr). Non c’è un’organizzazione e mancano il metodo intimidatorio e il controllo del territorio. Ad Aosta non c’erano queste cose».
Anche per gli avvocati Perga e Chiusano (difesa Roberto Di Donato) «i reati contestati non ci sono – ha riassunto Chiusano -. Ora aspettiamo le motivazioni della sentenza». Perga ha invece aggiunto: «Siamo fermamente convinti del fatto che non sussista l’ipotizzata partecipazione del nostro assistito a un’associazione. Lui stesso ha più volte urlato che la ‘ndrangheta gli fa schifo. Già in sede di interrogatorio aveva affermato che lui non ha mai fatto, non fa e non farà mai parte di un’associazione mafiosa».
Per la difesa di Filice l’avvocato Corgner si è limitata a dire: «Aspettiamo le motivazioni e sicuramente impugneremo la sentenza».
L’altra sentenza
Ma la giornata non è finita. E’ infatti attesa per le 19 di oggi la sentenza (l’orario è slittato dalle 17) per i cinque imputati condannati in primo grado dal Tribunale di Aosta.
Si tratta dell’ex consigliere regionale Marco Sorbara, dell’ex assessore comunale di Saint-Pierre Monica Carcea, dell’ex consigliere di Aosta Nicola Prettico, del ristoratore Antonio Raso e del dipendente del Casinò Alessandro Giachino. Mentre i primi due sono accusati di concorso esterno, Prettico, Raso e Giachino devono rispondere di associazione mafiosa.
In foto: il momento della lettura della sentenza.
(f.d.)