‘ndrangheta: 4 testimoni del processo Geenna indagati per falsa testimonianza
Notificato l'avviso di conclusione indagine l'ex dirigente della Casinò de la Vallée spa Valter Romeo, i fratelli Daniele e Luciano Cordì e Pasqualina Macrì
La Procura della Repubblica di Aosta (pm Luca Ceccanti) ha chiuso le indagini sui quattro testimoni sfilati in aula nel corso del processo Geenna sulla ‘ndrangheta in Valle d’Aosta che, secondo l’accusa, hanno reso false dichiarazioni.
A ricevere l’avviso di conclusione delle indagini nei giorni scorsi sono stati l’ex dirigente della Casinò de la Vallée spa Valter Romeo, i fratelli Daniele e Luciano Cordì e Pasqualina Macrì. I loro nomi erano stati segnalati all’ufficio inquirente di via Ollietti dai giudici che avevano condannato i cinque imputati al termine del processo Geenna.
Le contestazioni
Per il Tribunale di Aosta, Alessandro Giachino (condannato in primo grado per associazione mafiosa), all’epoca collega di Romeo, si offrì per provare a vendere un orologio Bulgari da 2.500 euro che il manager voleva cedere. Quell’orologio però finì nelle mani di Marco Fabrizio Di Donato (uno dei vertici della locale di Aosta) e da allora Romeo non lo ha più rivisto e non ha mai incassato denaro. Dai colloqui tra Di Donato, Giachino e Antonio Raso (condannato a 13 anni in Geenna) emerge che volevano «consegnarlo a Rosario Strati in pagamento di un debito pregresso». Romeo sarebbe però stato «così intimorito» da Marco Di Donato e «dai suoi sodali» da «non avere neppure il coraggio di interpellarlo» e per «evitare qualsiasi problema al riguardo ha addirittura preferito, a distanza di anni dall’accaduto, rispondere genericamente e con reticenza alle domande» in aula.
I fratelli Cordì secondo i giudici hanno ricevuto «un preciso avvertimento di natura mafiosa» dal gruppo Raso-Di Donato, che chiedeva loro di affidare a un cognato di Raso dei lavori edili: sentiti come testimoni hanno però riferito di una situazione di «assoluta normalità».
La vicenda di Pasqualina Macrì riguarda la somma di 100 euro ricevuta – dopo l’arresto di suo figlio Luigi Fazari – da parte di Antonio Raso, per il tramite della madre, sua vicina di casa a San Giorgio Morgeto. Si tratterebbe di un passaggio di denaro che è una forma di «assistenza agli affiliati detenuti» ma che la testimone ha voluto far credere al Tribunale fosse destinato «alle brioches dei figli del Fazari».
(f.d.)