Agricoltura: la patata Verrayes è il nuovo Presidio Slow Food
Il tubero deve il suo nome al comune di residenza di Giuliano Martignene, il tecnico dell'assessorato all'Agricoltura che 22 anni fa entrò in possesso di alcune patate ancora coltivate da un contadino di Covarey e decise di indagare sulla loro origine
Con la sua buccia viola lucente e l’inconfondibile pasta gialla, la patata Verrayes è il nuovo Presidio Slow Food della Valle d’Aosta.
Coltivato nei campi di media montagna fin dal 1817, l’antico tubero è considerato l’ultimo tra le varietà tradizionali radicatasi in Valle proprio grazie ai suoi terreni ricchi di minerali e al clima caratterizzato da alte escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Negli ultimi decenni la sua coltivazione era andata perduta, soppiantata da varietà di patate più moderne, ma un simpatico gioco del destino ha voluto che la storia e la produzione della Verrayes non si fermassero al passato.
«La sua salvezza è legata alla circolazione dei suoi semi che, in passato, era una pratica abituale» – afferma Federico Chierico, responsabile biodiversità all’interno di Slow Food Piemonte e Valle d’Aosta e titolare dell’azienda agricola valdostana Paysage à Manger.
«Verrayes – aggiunge – è il nome del paese da cui proveniva Giuliano Martignene, il tecnico dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Valle d’Aosta che, nel 1998, è entrato fortunosamente in possesso di alcuni tuberi ancora coltivati da un contadino di Covarey e si è rivolto alla fondazione svizzera Pro Specie Rara, impegnata nella tutela della biodiversità agricola alpina, per farli esaminare».
L’intuito di Martignene non solo ha aperto la strada alla patata Verrayes per il riconoscimento del Presidio, ma ha anche permesso la riscoperta di tutta una serie di usi e costumi locali legati alla sua coltivazione trasmessi dai genitori ai figli, proprio come i suoi semi.
«Mio padre ha sempre coltivato questa varietà di patata e ci teneva molto a farlo – racconta Carlo Favre, produttore di patate a Verrayes insieme ai fratelli -.
La mia famiglia, come tante in montagna, non viveva tutto l’anno nella stessa casa; gli inverni li passavamo a valle, dove avevamo vigneti, frutteti e castagne, mentre in estate tornavamo sui monti e seminavamo i campi a 1.700 metri».
Il riconoscimento del tubero alpino tra i 342 prodotti italiani tutelati dalla Chiocciola di Slow Food rappresenta per i produttori locali l’inizio di un vero e proprio viaggio verso la maggiore tutela della biodiversità valdostana, dei suoi prodotti e della sua storia, il tutto in concerto con l’amministrazione regionale.
«Nella fase di costruzione del presidio – afferma Chierico – ci siamo confrontati con le autorità locali che ci hanno manifestato la loro disponibilità a collaborare per sensibilizzare i nostri concittadini sull’importanza della salvaguardia della biodiversità regionale».
Oggi per via del nostro approccio consumistico siamo portati a pensare che il mondo rurale desse molto valore al cibo solo perché ne aveva poco – chiosa l’agricoltore della Valle del Lys – ma il cibo era vita che si tramandava e si perpetuava al mondo di generazione in generazione sotto forma di saperi, scambio di semi e pratiche simboliche, insomma molto più di un semplice nutrimento».
(martina praz)