La storia di Milena Béthaz: 20 anni fa un fulmine le trapassò il corpo. «E ha cambiato i miei piani»
Campionessa mondiale di corsa in montagna, la guardiaparco di Valgrisenche il 17 agosto del 2000 è rimasta vittima di un incidente: un fulmine le ha trapassato il corpo, ma si è salvata; il collega Luigi Fachin, invece, ha perso la vita
«Tutto si fa, tutto si può, non bisogna mai arrendersi davanti agli ostacoli». Lo dice con convinzione e con la sua solita determinazione Milena Béthaz, guardaparco dello storico Corpo del Parco nazionale del Gran Paradiso che vent’anni fa, (lunedì 17 agosto), è stata vittima di un gravissimo incidente di cui porta sul suo corpo segni pesanti e indelebili.
«La montagna è mia amica anche se con me è stata crudele», dice Milena.
Disgrazie causate da fenomeni naturali
Pur non essendo scaramantica, Milena Béthaz guarda al numero 17 con circospezione. «Mio papà Louis è morto sotto una valanga il 17 dicembre del 1981, ricorda la 48enne di Valgrisenche e il mio incidente è avvenuto il 17 agosto del 2000.
Due disgrazie causate da fenomeni naturali, perché la montagna dà tanto ma può anche toglierti tutto».
L’incidente nel 2000
Nel 2000 Milena aveva appena coronato uno dei suoi sogni: fare la guardiaparco ed era stata affiancata a Luigi Fachin, un collega più esperto con cui stava terminando il tirocinio. Ma la fatalità, quella sempre pronta a ricordarci che in montagna il rischio zero non esiste, era dietro l’angolo.
«Eravamo al colle dell’Entrelor nella Valle di Rhêmes a 2.800 metri per un giro di perlustrazione, quando è arrivato un temporale e siamo stati colpiti da un fulmine», spiega Milena senza ricordare, perché l’incidente ha incenerito anche parte della sua memoria precedente all’evento.
Quel pomeriggio la saetta prese la vita del suo istruttore e ferì gravemente la guardiaparco. La violenta scarica elettrica si era fatta strada nel suo corpo attraverso l’orecchio destro per uscire dal piede facendo esplodere lo scarpone e l’aveva sbalzata a valle per una cinquantina di metri.
Milena Béthaz fu ritrovata il giorno successivo in un angolo di montagna dal cugino Loris Vuillen che si era unito alle squadre di ricerca. Era ustionata, quasi del tutto paralizzata, incosciente ma ancora viva. Fu portata in condizioni gravissime al reparto Rianimazione dell’ospedale di Aosta e da li trasportata in elicottero al Giovanni Bosco di Torino dove rimase in coma per alcune settimane. I medici non diedero molte speranze e, anche se fosse sopravvissuta, prospettavano per lei una vita di infermità.
«Mi sono ripresa la vita»
«Quando mi sono risvegliata nel letto d’ospedale e mi sono vista in quelle condizioni, poco per volta, ho capito che mi era successo qualcosa di grave, ma non ho mollato – racconta -. A un certo punto ho deciso che dovevo riacciuffare la mia vita».
Il fulmine che aveva investito Milena non l’aveva fermata e la sfida tra la campionessa mondiale di corsa in montagna e le avversità della vita era appena iniziata.
Nei sei mesi di ricovero da un ospedale all’altro, Milena subisce vari interventi in più parti del corpo a cui segue una riabilitazione difficile e dolorosa che non l’ha mai abbandonata.
«Del periodo successivo all’incidente non ricordo quasi niente – ammette -, ma forse è meglio così perché non c’è niente di bello da ricordare. E’ stato un momento faticoso della mia vita, lungo e incerto ma ne sono uscita grazie anche al sostegno della famiglia, degli amici e dei colleghi che mi sono stati sempre vicini».
Forza di volontà
A dispetto delle previsioni mediche, l’atleta di Valgrisenche recupera, si batte, cade e si rialza ogni volta senza mai perdere di vista l’obiettivo, determinata, fiaccata nel corpo reso ancora più minuto dall’incidente ma forte nello spirito. E, alla fine, Milena torna tra mille difficoltà. Non è più quella di prima ma è pronta a ripartire.
«Un primo traguardo per me è stato ricominciare a lavorare – spiega la dottoressa in Scienza Naturali -. Prima solo in ufficio e poi, dal 2015, di nuovo sul campo a Orvieille dove c’è il Centro di osservazione delle marmotte. Facciamo raccolta dati e osservazione a distanza. Le conosco tutte per nome le mie marmotte e so che sono contente delle attenzioni che dedico loro».
Come quei vasi in frantumi che la cultura giapponese ricostruisce con metalli preziosi, evidenziando le rotture anziché nasconderle, Milena accetta le conseguenze del fulmine senza mai subirle in un capolavoro di equilibrio e di intelligenza.
Sfida quotidiana
«So che non sono paragonabile ai miei colleghi ma faccio il possibile per dare il meglio – dice -. I miei compagni di lavoro, come anche i miei famigliari, mi spronano sempre e ogni piccolo miglioramento mi gratifica e fa sì che la mia disabilità non si trasformi in handicap e in disagio sociale».
Nella sfida quotidiana con i suoi limiti, Milena programma, progetta, si allena, si arrampica e nel 2015, arriva sulla cima del Gran Paradiso per poi affrontare anche il ghiacciaio del Ruitor in un crescendo di emozioni.
«Riprendere a lavorare ma anche a vivere nel mio elemento naturale, la montagna, è bellissimo – spiega lo scricciolo di Valgrisenche -. Anche quando non lavoro passo molto tempo tra i monti. D’inverno faccio sci nordico e alpinismo, d’estate escursionismo, trekking e bici».
L’onorificenza
Tanta passione e forza di volontà non potevano passare inosservate. Milena è un esempio da seguire, un punto di riferimento per molte persone e se ne accorge anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel 2016 le conferisce il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
«Quando mi hanno telefonato dal Quirinale per dirmi che avrei ricevuto questa onorificenza, quasi non ci volevo credere – ricorda Milena con lo stesso stupore di quel giorno -. E’ stata una sorpresa che ha emozionato non solo me e i miei cari, ma anche tanti valdostani e non che, ancora oggi, si complimentano con me».
«Un fulmine a ciel sereno … può sempre capitare»
Piccole e grandi soddisfazioni, tutte significative, segnano la vita della guardaparco che vive con intensità il suo presente.
«Non si devono fare troppi progetti nella vita perché può sempre arrivare un fulmine a ciel sereno, come è successo a me vent’anni fa – spiega con tono serio punteggiato di ironia -. Mi chiedo spesso cosa sarebbe successo se non fossi stata colpita dal fulmine. Forse avrei avuto una carriera agonistica. Nel 2000 ero diventata campionessa mondiale di corsa in montagna vincendo la mezza maratona da Zermatt a Cervinia. Non è andata come mi aspettavo. Il giorno del mio incidente, per me è una data difficile da ricordare. Piango pensando a quel fulmine che ha cambiato i miei piani ma la vita continua e io non mollo. Il mio motto è ‘mai dire mai, perché da una brutta situazione si può sempre uscire vittoriosi. E questo vale anche per il Covid. Stiamo vivendo un momento surreale che ha spiazzato tutti, non solo le persone più fragili. Quando finirà questa emergenza, sinceramente, spero che non tutto riprenda come prima. Mi auguro che questa situazione ci insegni a rimettere al centro i veri valori della vita: la famiglia, il lavoro, la salute e, per me, anche la fede che mi ha aiutato ad andare avanti nei miei momenti più bui».
(Laura J. Vinaj)