Inquinamento: quella zona “grigia” tra la Cogne Acciai Speciali e la Regione
La pm Eugenia Menichetti: «La Regione, nel decidere quali parametri imporre all'azienda, ha omesso di indicare proprio quello che la società non è in grado di rispettare»
Come è “grigia” la zona descritta nei rapporti tra la Regione e la Cogne Acciai Speciali, così sono pesanti le parole del sostituto procuratore Eugenia Menichetti – magistrato del dipartimento investigativo ambiente e territorio della Procura di Aosta – messe nero su bianco nella richiesta di archiviazione del fascicolo per inquinamento ambientale e relativo alla CAS.
Riprendendo le risultanze della relazione fornita dal consulente, la pm evidenzia: «E’ emerso come la Cogne Acciai Speciali, in violazione di legge, diluisca le acque reflue prima di immetterle nelle acque superficiali del fiume Dora Baltea tramite il collettamento di acque piovane e non, poiché se così non facesse, non sarebbe in grado di rispettare il limite legale di 6 mg/l per lo ione floruro».
Quantomeno curioso il fatto che l’AIA rilasciata alla Cogne non prevede tale parametro negli autocontrolli imposti all’azienda negli scarichi parziali. Sul punto, la pm precisa: «La Regione, nel decidere quali parametri imporre alla società, ha omesso di indicare proprio quello che la società non è in grado di rispettare».
La zona “grigia”
Non solo. Menichetti accende i fari anche sulla “zona grigia” del rapporto tra la Regione e la CAS. Scrive: «Sebbene sia emerso il formale rispetto dei limiti posti dall’AIA da parte di CAS, si è appalesato un quadro di silente rassegnazione, se non addirittura di accettazione, da parte della Regione, di un meccanismo di aggiramento della normativa, con particolare riguardo al divieto di diluizione degli scarichi». A dimostrazione di ciò, «il sistema dei controlli previsti pare essere accuratamente progettato proprio per evitare che emergano contestazioni a carico dell’azienda. E’ bene chiarire sin da subito che trattasi di condotte risalenti nel tempo, che tuttavia non hanno visto nessun intervento successivo (amministrativo o legislativo) volto a rivedere quel sistema carente e latamente protettivo che, nei fatti, ha permesso all’azienda di aproseguire la sua attività senza affrontare i gravosi esborsi necessari per fronteggiare interventi strutturali a tutela dell’ambiente».
Gli scarichi
L’aspetto maggiormente critico emerso nell’ambito dell’attività investigativa, come anticipato, riguarda gli scarichi. La CAS dispone di due scarichi autorizzati, un continuo e uno discontinuo (rispettivamente denominati SA01 e SA02-TT4) che recapitano nella Dora Baltea. In aggiunta, nello stabilimento sono presenti altri due scarichi parziali (DA02 e DA03) che provengono dagli impianti di trattamento delle acque reflue, entrambi al servizio del reparto Decafast. «Gli accertamenti peritali – scrive la pm – ha accertato come il sistema di trattamento delle acque reflue di CAS si componga di quattro impianti di depurazione: uno a servizio del reparto TBV, due al servizio del reparto Decafast e uno centrale, utilizzato per il trattamento di tutte le acque reflue generate dallo stabilimento».
Dalle indagini è emersa la presenza di oli nelle acque reflue del reparto TBV, tuttavia si sarebbe trattato di «un evento occasionale, riconducibile a un malfunzionamento del sistema di distribuzione dell’olio. Ma è stato accertato anche come «il trattamento utlizato per le acque reflue del reparto TBV fosse idoneo per i contaminati e inidoneo per il trattamento degli oli».
Secondo la Procura, comunque, «le maggiori criticità concernono i reflui generati dal reparto Decafast. E’ emersa, infatti, una seria problematica concernente il rispetto del limite legale della concentrazione di fluoruri negli scarichi dell’azienda, sostanze che comportano rischio per la salute umana». La tecnologia utilizzata da CAS per abbattere i fluoruri «non è in grado di riportare la concentrazione al di sotto del limite legale di 6 mg/l per l’immissione nelle acque superficiali Pertanto, l’azienda, con il disarmante benestare dell’amministrazione regionale, ha adottato un sistema di diluizione delle acque reflue prima del raggiungimento dello scarico finale SA01».
Ciò detto, la pm conclude: «Le indagini non hanno potuto che prendere atto dell’attuale assetto, per il quale formalmente e sostanzialmente CAS rispetta i parametri imposti dall’AIA, nonostante tale rispetto sua da ricondurre a carenze previsionali dell’AIA stessa e al mancato sanzionamento del sistema di diluizione».
In conclusione, sulla vicenda due sono le cose certe: la Procura ha ravvisato l’impossibilità di dimostrare attuali responsabilità penali (e ha chiesto l’archiviazione) e due distinte segnalazioni sono partite in questi giorni, i cui destinatari sono la Corte dei Conti e la Prefettura. Sempre nella richiesta di archiviazione, infatti, la pm precisa che «si constata come sul tappetto residui solamente una responsabilità di carattere amministrativo, eventualmente punibile» ai sensi del Testo unico ambientale «per la quale è stata inoltrata comunicazione alla competente autorità amministrativa».
(f.d.)