Coronavirus, le voci di chi è in prima linea: la cosa più straziante è la solitudine dei malati
La testimonianza di quattro tra infermiere e Oss al lavoro durante la situazione emergenziale
«La cosa più terribile è la solitudine dei malati». Non hanno dubbi infermiere e OSS in servizio al Parini di Aosta in questo terribile periodo condizionato dal coronavirus.
Da questa situazione di pandemia globale giungono ogni giorno centinaia di storie personali, tramite i social, da chi è in quarantena a casa ma, maggiormente, da chi mette in gioco la propria vita per sconfiggere questo nemico invisibile comune, ovvero gli operatori sanitari. Preparazione, professionalità ed empatia sono intrinseche nella professione, ma oggi ogni infermiere o operatore sanitario affronta una pandemia.
Il racconto di Chiara
Chiara – è un nome di fantasia è infermiera nel reparto Rianimazione dell’ospedale Parini. «La situazione è senz’altro faticosa, non tanto per la tipologia dei pazienti, avendone spesso affetti da polmoniti, piuttosto per l’abbigliamento di protezione che dobbiamo sopportare da sei a dodici ore al giorno, senza poter mangiare o usare la toilette e che rende molto pesante l’operatività».
Chiara ammette che «i pazienti da seguire sono tanti, fra loro c’è chi ci lascia in pochi giorni senza dare possibilità alla terapia di fare il suo corso. Ci sono pazienti relativamente giovani e sicuramente giovani per morire, i quali giungono in reparto coscienti, consapevoli e purtroppo soli, senza un volto familiare accanto e con l’incognita totale del futuro. Questo aspetto è il più straziante. A noi operatori non piace la definizione eroi, per quanto intesa come complimento. Esistono fra di noi alcuni che davanti a tutta la sofferenza innalzano muri istintivi per autodifesa, ma questo è dovuto esclusivamente al dolore che ogni giorno tocchiamo con mano. Ciò che ci ha spinto a scegliere questa professione è la volontà di aiutare gli altri, certe rinascite ci ripagano da tutte le fatiche».
Il racconto di Eleonora
Anche Eleonora fa l’infermiera nel reparto di Rianimazione del Parini. «Il fatto che molti pazienti siano soli è la cosa più difficile da accettare – sottolinea -. Qualche giorno fa mi è capitato di assistere un paziente che compiva gli anni. Indossava il casco cpap per la ventilazione e da qualche giorno, a causa di ciò, aveva perso la cognizione del tempo. Così mi ha chiesto aiuto e, per tranquillizzare i parenti, gli ho fatto una foto con il suo telefono che avevo recuperato dalla cassaforte. Dopo l’invio del messaggio, l’ho nuovamente riposto. Gli studi infermieristici, per quanto possibile, sono volti anche a prepararci a situazioni di forte stress come questo, ma affrontare una pandemia che sta mietendo così tante vittime non ha paragoni. Nessun libro o tirocinio ti può preparare a questo».
Il racconto di Ester
Ester è infermiera in un reparto riqualificato sub-intensivo Covid-19. «L’organizzazione dei reparti è stata stravolta, convogliando infermieri da altri reparti e, non conoscendo così le abitudini e i differenti modi di lavorare, bisogna anche cercare di conoscersi – ha spiegato a Gazzetta Matin i primi di aprile -. Il punto dolente è quello della carenza dei DPI, considerando che molti di noi non si sentono protetti nel lavorare. Sembra quanto meno strano che ogni volta in cui viene denunciata la carenza di DPI escano a posteriori nuove evidenze scientifiche che dimostrano come il materiale mancante non sia poi così fondamentale».
Il racconto di Anna
Simile è la denuncia di Anna, operatrice socio-sanitaria che lavoro sul territorio per conto di una struttura terza che lamenta la totale assenza dei sindacati di riferimento: «Nei primi giorni della crisi non abbiamo avuto nessuna disposizione, risposta o vicinanza da parte dei nostri sindacati. Noi che operiamo sul territorio abbiamo cambiato anche totalmente l’approccio con i nostri assistiti, utilizzando lo scarso quantitativo di DPI assegnatoci in maniera oculata, arrivando nei primi giorni a comprare in autonomia il gel disinfettante. Nonostante nei giorni a seguire la situazione si sia stabilizzata, mi chiedo allora a cosa servano i 120 euro annui pagati al sindacato?»
(emiliano pala)