Altanum: da un’estorsione in Valle a un omicidio in Calabria, ecco la pista della DDA
Per gli inquirenti, l'omicidio di uno dei fratelli Raso «per come acclarato in questa indagine, aveva il duplice scopo di portare a buon esito l’azione estorsiva da parte dei Facchineri, ma soprattutto ribadire e confermare il proprio dominio nel Comune sangiorgese e riprendere quello in Valle d’Aosta».
Potere, controllo del territorio, omicidi ed estorsioni. Questi i principali ingredienti delle 708 pagine dell’ordinanza di esecuzione di misura cautelare firmata dal gip di Reggio Calabria, Valentina Fabiani.
«I Facchineri erano guidati da Giuseppe Facchinieri, mentre il gruppo Raso-Sorbara-Fazari, aveva il loro vertice rappresentato dall’anziano boss Mario Gaetano Agostino. Al centro delle attività criminali l’asfissiante controllo del territorio: appalti pubblici, taglio dei boschi, compravendita dei terreni, assunzioni di lavoratori nelle aziende locali. Ed ancora: danneggiamenti, estorsioni, e infiltrazione nella pubblica amministrazione di Aosta». Lo ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci durante la conferenza stampa relativa all’operazione Altanum.
Le estorsioni in Valle d’Aosta
Uno dei pilastri dell’ordinanza firmata dal gip ed eseguita alle prime luci dell’alba di mercoledì 17 luglio dai Carabinieri riguarda un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore valdostano. In particolare, gli inquirenti accendono i fari due episodi. «Le estorsioni poste in essere ai danni» di alcuni imprenditori valdostani originari di San Giorgio Morgeto, «per come accertate in via definitiva nel procedimento della DDA di Torino si rivelano assolutamente centrali nella complessiva ricostruzione accusatoria, poiché trattasi di estorsioni poste in essere da alcuni componenti della famiglia Facchineri e in tale senso vengono oggi valorizzate dal pm in quanto dimostrative della perdurante operatività criminale della cosca», scrive il gip nell’ordinanza.
La prima lettera
Gli investigatori analizzano in modo dettagliato un episodio estorsivo andato in scena nel 2011, quando un imprenditore valdostano ricevette la seguente lettera dal contenuto minatorio: «Con la presente informiamo Lei e i suoi soci che riguardo l’appalto» relativo alla realizzazione di un parcheggio pluripiano ad Aosta, «vogliamo il 3% su tutto l’affare. (..) In buona sostanza vogliamo i soldi e consigliamo Lei e soci di non fare l’infame, è bene che ci mettiamo d’accordo tra nobis senza coinvolgere la legge o terze persone tipo i suoi compaesani perché così facendo rischiate molto in prima persona, ma mettete a rischio l’incolumità dei vostri prossimi famigliari moglie, figli, fratelli o genitori e badate bene che se pensate di rivolgervi o di essere protetti da qualche mammasantissima vi sbagliate e di molto per una questione semplicissima: noi siamo in tanti siamo dappertutto abbiamo moltissimo tempo. Vogliamo i soldi altrimenti vi facciamo andare in pensione con anticipo». Sul punto, nell’ordinanza viene evidenziato come vi sia un duplice ammonimento, «non solo quello scontato di non fare l’infame, ossia rivolgersi alle Forze dell’ordine, ma anche quello di non rivolgersi ai compaesani o a qualche mammasantissima». Tuttavia, l’imprenditore in un momento successivo si era rivolto ai fratelli Raso (Salvatore e Michele). Una scelta che non andò giù ai Facchineri, «è infatti evidente – continua l’ordinanza – come gli stessi Facchineri si dichiarino (nella lettera ndr) disposti a trattare sulla somma richiesta, ma non a permettere ad alcuno di mettere in discussione il loro dominio in San Giorgio Morgeto, di non legittimare l’operare alla pari di altri soggetti».
Sembrerebbe quindi «una questione di principio quella in ballo, ossia l’affermazione dell’assoluto dominio su quelle contrade pre-aspromonte». I fratelli Raso tentarono effettivamente di instaurare un dialogo con i Facchineri, in particolare con “il professore” (Giuseppe Facchinieri, uno degli arrestati nell’ambito dell’operazione Altanum), ma pagarono «caro il tentativo di assurgere a interlocutori», infatti, Salvatore Raso fu ucciso con dodici colpi di arma da fuoco vicino alla propria abitazione in Calabria.
La seconda lettera
Alla prima lettera ne seguì una seconda (mentre la prima missiva fu trovata dalle Forze dell’ordine, per conoscere il contenuto del secondo documento gli inquirenti si sono basati su alcune intercettazioni). La seconda lettera, rinvenuta dall’imprenditore nella propria auto insieme a due cartucce, recitava: «La invitiamo ancora una volta di usare il buon senso e di essere collaborativo con noi, senza farci giungere a strategie bellicose che le causeranno seri problemi a lei, e ai soci della sua azienda e quindi cerchi di trattare con il nostro interlocutore per telefono senza inventarsi storielle inesistenti perché nessuno di noi potrà venire nel suo ufficio o a casa sua, anzi spera che questo non accada mai perché se verrà qualcuno di noi a trovarla non sarà certo per bere un caffè. Badi bene che noi vogliamo i soldi. (..) Le rammentiamo che oggi il sequestro di persona non si pratica più ma in teoria è molto attuale che nella sua famiglia che ci sono i suoi figlioli che sono molto vulnerabili, pensi se a una di loro capitasse un incidente (..). Cerchi di non fare l’infame, non dia ascolto a qualcuno dei suoi compari più stretti perché le stanno dando cattivi consigli. I pallettoni quando arrivano non chiedono permesso a nessuno (..)».
La nuova inchiesta
Proprio dall’estorsione e dall’omicidio (di uno dei fratelli Raso) scattano le indagini condotte dalla compagnia Carabinieri di Taurianova. Nel 2011, infatti, il gip di Reggio Calabria accolse la richiesta della Procura di procedere con l’archiviazione del fascicolo aperto a seguito dell’omicidio di Salvatore Raso. Nel giugno del 2016, tuttavia, la DDA decise di riaprire le indagini.
Secondo la DDA di Reggio Calabria, come si evince dal testo dell’ordinanza, sarebbe stato proprio “il professore” Giuseppe Facchinieri a deliberare, organizzare e coordinare le azioni estorsive ai danni dell’imprenditore valdostano. Non solo. Facchinieri, finito ieri in manette, avrebbe anche ordinato «con il concorso morale di Giuseppe Chemi e Roberto Raffa (altri due indagati ndr) e materiale di soggetti allo stato non identificati, l’omicidio di Salvatore Raso». Un’azione «funzionale da un lato al buon esito dell’attività estorsiva in atto e dall’altro lato a ribadire e consolidare la supremazia sul locale di San Giorgio Morgeto da parte della ‘ndrina Facchineri».
Inoltre, il disegno criminoso relativo all’estorsione, avrebbe visto la partecipazione di Roberto Raffa, anche lui indagato per associazione mafiosa. Quest’ultimo, infatti, è ritenuto il «basista in Valle d’Aosta» per conto del cognato Giuseppe Facchinieri.
La chiave di lettura degli inquirenti
Per la tentata estorsione sono stati già tratti in arresto e condannati in via definitiva dal Tribunale di Torino, Giuseppe Facchinieri, Giuseppe Chemi e Roberto Raffa (arrestato ieri), tutti appartenenti alla cosca Facchineri. «L’odierna indagine, tuttavia, ha consentito una più approfondita chiave di lettura della vicenda estorsiva – fanno sapere gli inquirenti – collocandola in un contesto di associazione mafiosa e volta, da una parte, a ottenere risorse economiche per perseguire le finalità della cosca e dall’altra volta a ribadire che, pur operando in altra regione d’Italia, le attività economiche condotte da soggetti originari del reggino devono dare conto alla famiglia mafiosa dominante».
Tuttavia, proprio per tali tentate estorsioni, sono nati i contrasti tra alcuni componenti del locale di San Giorgio e i Facchineri. Secondo gli investigatori, l’omicidio di uno dei fratelli Raso «per come acclarato in questa indagine, aveva il duplice scopo di portare a buon esito l’azione estorsiva da parte dei Facchineri, ma soprattutto ribadire e confermare il proprio dominio nel Comune sangiorgese e riprendere quello in Valle d’Aosta».
(f.d.)