Arso vivo in piazza ad Aosta, un cippo in memoria di Nicolò Sartoris
Fu arso vivo in pubblica piazza ad Aosta perché asccusato di eresia. Nicolò Sartoris era un evangelico di 26 anni originario di Chieri, che si recò ad Aosta per lavoro e dove vi morì dopo tre mesi di torture.Un cippo in sua memoria (foto) gli è stato dedicato oggi, martedì 31 ottobre, dalla Chiesa Valdese di Aosta nella piazzetta di San Grato, in Via De Tillier, luogo della sua probabile esecuzione sul rogo. Presenti alla cerimonia, tra le iniziative per il 500esimo della Riforma protestante, il presidente della Regione, Laurent Viérin, il sindaco Fulvio Centoz con l’assessore Marco Sorbara, il pastore valdese di Aosta, Antonio Adamo, il professore Leo Sandro Di Tommaso e diverse autorità militari e religiose.”Questo non è un atto di accusa contro qualcuno, ma un simbolo di libertà, al di là della religione”, ha detto il sindaco Centoz. “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà”, ha ricordato rievocando l’apostolo Paolo il pastore valdese Antonio Adamo.Ma chi era Niccolò Sartoris? Lo ricorda il professor Leo Sandro Di Tommaso: nel 1557 il ventiseienne «Niccolò Sartoris, di origine chierese, che aveva aderito alla Riforma ed era divenuto cittadino di Losanna dopo la morte del padre, anch’egli evangelico, nella prigione di Chieri, si recò ad Aosta per lavoro. Arrivato in città, si accorse della situazione di silenzio in cui vivevano ormai gli evangelici della città e non esitò a parlare con loro per incoraggiarli. Lo fece troppo apertamente sia per giovanile entusiasmo, sia perché abituato alla libertà di cui si godeva a Losanna, sostenendo anche in pubblico le dottrine riformate. Scoperto e denunciato, in un primo momento non volle fuggire, anzi, la fonte da cui tutti gli storici hanno attinto gli mette in bocca parole che manifestano un coraggio eccezionale di testimonianza: “Mio Dio, mi farai l’onore di soffrire per il tuo nome?”. Alla fine si decise a fuggire, prendendo la strada del Gran San Bernardo, ma fu catturato e sottoposto a processo dall’Inquisizione, che non esitò a torturarlo e interrogarlo per tre mesi al fine di costringerlo all’abiura. Il giovane resistette con grande coraggio e fede esemplare, perciò fu dato in mano al braccio secolare perché fosse arso vivo. L’esecuzione avvenne il 4 maggio 1557, forse nella piazzetta antistante la cappella di S. Grato, dove c’era la gogna e la corda per le torture pubbliche».«Questo martirio scosse molto l’opinione pubblica, destando di nuovo interesse e simpatia per la Riforma al punto da preoccupare lo stesso Emanuele Filiberto. Questi, infatti, in una lettera inviata l’8 luglio 1558 al vescovo Marc’Antonio Bobba, esponeva le sue perplessità sulle modalità con cui era stata eseguita la sentenza: quel rogo pubblico sulla piazza della città non era stata una buona iniziativa… “meglio che così fatti si faccian asseguir secretamente”…»
(l.m.)