Inchiesta Blu Belga: una condanna, 4 patteggiamenti e 5 rinvii a giudizio
Una condanna (Paolo Moussanet di Challand-Saint-Victor a un anno e 4 mesi), due assoluzioni (il veterinario Andrea Piatti di Andrate e Camillo Pecco di Gressoney-Saint-Jean), quattro patteggiamenti (Gabriele Empereur di Gressan a 8 mesi e 800 euro di multa, Ezio Chabloz di Sarre a 6 mesi e 200 euro di multa, Albein Bagnod di Challand-Saint-Victor a 8 mesi e Franca Marcoz di Brissogne a 6 mesi), tre messe alla prova (Mathieu Chabod di La Salle, Alfredo Girod di Fontainemore e Leo Montrosset di Jovençan) e cinque rinvii a giudizio (Cassiano Treboud di La Salle, Guido Chaussod di Nus, Paolo Consol di Issime, Marco Cerise di Sarre e Piergiorgio Colleoni di Nus) all’udienza del 20 aprile 2017 davanti al giudice monocratico.E’ quanto pronunciato questa mattina dal gup del Tribunale di Aosta, Davide Paladino, a definizione dell’udienza preliminare istruita nell’ambito dell’inchiesta Blu Belga del Corpo forestale valdostano. Secondo quanto appreso, l’attività investigativa ebbe inizio a metà del mese di novembre del 2014, quando in un’azienda zootecnica in frazione Plan Palet di Nus, riconducibile all’ex macellaio Guido Chaussod e alla figlia Rita, Forestale e funzionari dell’Azienda USL scoprirono un’attività di macellazione clandestina senza alcun rispetto delle norme poste a tutela del benessere animale, in totale assenza dei requisiti minimi igienico-sanitari previsti dalla legge e in mancanza delle necessarie autorizzazioni.Il filone principaleDa quanto emerso nell’ambito del filone principale dell’inchiesta, diversi allevatori valdostani – in qualche caso per il tramite dei commercianti di bovini Paolo Moussanet di Challand-Saint-Victor e Paolo Consol, operante a Pont-Saint-Martin – avrebbero prelevato nel biellese bovini della pregiata razza Blu Belga (almeno una quindicina), a cui – una volta in Valle – sarebbero stati applicati marchi auricolari in realtà appartenenti a bovini di razza valdostana, nel frattempo deceduti o macellati clandestinamente per farli sparire.A questo punto i nuovi bovini, falsamente certificati come valdostani, sarebbero stati rivenduti come incroci ad alcuni centri di ingrasso nel cuneese, operazione che – secondo gli inquirenti – avrebbe permesso agli allevatori di realizzare importanti plusvalenze (sul mercato un bovino di razza Blu Belga vale molto di più perché molto più richiesto rispetto a uno di razza valdostana), anche alla luce del fatto che, essendo la Valle d’Aosta indenne da malattie infettive soggette a profilassi di Stato come brucellosi e rinotracheite, in qualche caso agli allevatori si sarebbe presentata la possibilità di eludere i controlli sanitari.I filoni secondariVa da sé che, in un simile contesto, la carne macellata nei centri piemontesi – e finita nell’ambito della grande distribuzione di buona parte del Nord Ovest Italia – fosse in realtà priva della benché minima tracciabilità, senza dimenticare che nelle pieghe dell’indagine vennero portati alla luce anche illeciti relativi alla gestione del ciclo dei rifiuti (allevatori che, per risparmiare sui costi di smaltimento, hanno preferito gettare le carcasse di almeno 17 bovini nelle concimaie) e inerenti alla non corretta produzione e conservazione di formaggi (38 forme «cariche di parassiti» conservate in «magazzini insudiciati»), oltre alla somministrazione ad almeno due bovini (tra cui sicuramente una reina) di fiale di Prontogest, farmaco a uso umano a base di ormoni.Nella foto un incrocio di toro Blu Belga.(pa.ba.)