Ammanchi dalle casse società, condannato figlio alpinista Minuzzo
Una brutta storia, se non altro perché – nel novembre 2014 – vide fioccare denunce e controdenunce all’indirizzo di tre fratelli, tre dei quattro figli del compianto alpinista Mirko Minuzzo, il primo italiano a salire sull’Everest nel 1973.La storia è questa: Cristiano Minuzzo, amministratore unico di una società immobiliare operante a Breuil-Cervinia e specializzata nella locazione di alloggi, la Lioy Srl, secondo la ricostruzione dell’epoca da parte degli inquirenti si sarebbe accreditato sul proprio conto corrente personale – anziché su quello della società – oltre 30 mila euro ricevuti da diversi affittuari di immobili trattati dalla società.Questa mattina a processo per appropriazione indebita davanti al giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Davide Paladino, Cristiano Minuzzo è stato condannato a 10 mesi di reclusione e a mille euro di multa, pena sospesa a patto che risarcisca duemila euro di danni morali al fratello Giordano, suo ex socio, entro tre mesi dalla data di irrevocabilità della sentenza.Nell’agosto 2014, una volta scoperto (per l’accusa «si versava uno stipendio mensile di 1.500 euro, faceva spese personali per importi notevoli e si accreditava denaro con dei pretesi»), i fratelli dell’amministratore – Giordano e Milko Minuzzo – e il loro amico di vecchia data Stefano Tasca, tutti e tre soci, sarebbero entrati in casa sua – anche se formalmente di proprietà della società – per impossessarsi di documenti societari, sostituendo poi il nottolino della serratura per impedirgli il trasloco che aveva già in programma, venendo così a loro volta denunciati per furto in abitazione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.Nel processo di stamane a carico di Cristiano Minuzzo, è emerso che – dal 2009 al 2014 – l’imputato si sarebbe appropriato di circa 72 mila euro dalle casse della società immobiliare, nonostante per la difesa – rappresentata in aula dall’avvocato Liliana Pintus di Sassari – «non c’è stato profitto né alcuna condotta illecita».Dal canto suo, il pubblico ministero Sara Pezzetto – che aveva chiesto la condanna dell’imputato a un anno di reclusione e a 600 euro di multa – inoltre «non è stata dimostrata la restituzione delle somme sottratte» dalle casse della società, motivo per cui il risarcimento del danno sarà quantificato in un separato giudizio civile.(pa.ba.)