Droga: «uso personale», Caffaratti assolti
Sono stati assolti «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», Marco e Loris Caffaratti, padre e figlio di 51 e 23 anni, finiti a processo questa mattina davanti al giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Marco Tornatore, nell’ambito dell’Operazione White Shuttle, che all’alba del 23 dicembre 2014 portò gli uomini della Squadra mobile e della Sezione narcotici della Questura di Aosta a indagare complessivamente 21 soggetti, nei confronti di otto dei quali il gip del Tribunale di Aosta, Maurizio D’Abrusco, spiccò altrettante misure cautelari. E tra questi c’erano anche i due Caffaratti, finiti nelle pieghe dell’indagine antidroga dopo «sette intercettazioni telefoniche» operate nel periodo tra fine ottobre e metà novembre 2014, nelle quali i due «si misero in contatto con Norredine Badri (30enne di origine marocchina domiciliato a Milano, che ha già patteggiato la pena a due anni in sede di udienza preliminare, ndr) per approvvigionarsi di droga ad Aosta», ha riferito stamane in aula il sostituto commissario della Squadra mobile, Valter Martina, che ha aggiunto come «al termine delle indagini effettuammo una perquisizione in casa anche di Marco e Loris Caffaratti, ma questa dette esito negativo».
In un simile contesto, i due imputati – entrambi difesi dall’avvocato Orlando Navarra di Aosta – nelle loro spontanee dichiarazioni hanno affermato: «E’ vero che abbiamo avuto questi contatti con Badri, è altrettanto vero che siamo scesi a Milano per approvvigionarci della droga, ma l’abbiamo sempre e solo fatto per uso personale. Non l’abbiamo mai ceduta a terzi», con il padre Marco Caffaratti che ha precisato: «Io ho sempre lavorato, ho una fonte di reddito, motivo per cui non ho mai spacciato stupefacente».
Secondo la ricostruzione del sostituto procuratore Pasquale Longarini, «in meno di un mese sono stati 140 i grammi portati ad Aosta dai due Caffaratti, per un equivalente di 280 dosi», cifra difficilmente configurabile con un uso personale della droga, anche se l’avvocato difensore Orlando Navarra – a riguardo – ha sottolineato: «Lo stupefacente era di bassa qualità, per fare una dose ce ne volevano quattro, e questo ragionamento va moltiplicato per due, quindi l’utilizzo a fini personali della droga è assolutamente configurabile».
Una tesi accolta dal giudice monocratico, che ha assolto «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» entrambi gli imputati.
L’udienza preliminare dell’Operazione White Shuttle, andata in scena il 18 novembre scorso, si era conclusa con condanne per 5 anni 8 mesi e 10 giorni di carcere. Nel processo con rito abbreviato fu condannato Ivano Crivellaro di Monza (un anno e 6 mesi) mentre giunsero a patteggiamento Norredine Badri di Milano (due anni) e gli aostani David Cortellessa (un anno), Massimo Penti (sei mesi) e Cristina Cavallera (otto mesi e 10 giorni).
(pa.ba.)